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Il disavanzo della Regione è un feticcio al quale stiamo impiccando un popolo di 5 milioni di persone

Il mio recente intervento (qua) sull’accordo “mortale” tra Stato e Regione, ha suscitato un certo interesse (più di 10.000 lettori mentre sto scrivendo), ma anche qualche polemica.

Sono costretto perciò a ritornarci e spiegare bene perché la Sicilia nulla deve al Governo Conte.

Sgombriamo subito il campo da alcuni terribili equivoci.

 

Intanto non ho nulla di personale contro Giuseppe Conte. Fonti ben informate mi dicono che negli incontri con la Regione lo stesso Conte appariva quasi in imbarazzo per la violenza inaudita (da veri figli di Trojka) dell’accordo raggiunto. Sempre dalle stesse fonti pare che le posizioni più dure contro la Sicilia venissero proprio da dirigenti espressione di ministri o viceministri ricoperti da noti siciliani. Non so se i miei informatori hanno visto e sentito bene, ma il fatto che i nostri più feroci nemici siano proprio i Siciliani a Roma, e che le autorità regional-coloniali “non battano mai ciglio”, per me, ingenuotto, resta sempre un mistero insondabile. “Lo Stato c’è ma la Sicilia…” deve essere strangolata? Boh. Andiamo ai fatti.

 

Alcuni commentatori si sono indignati perché attribuisco a Conte e Musumeci accordi che invece hanno stipulato Renzi e Crocetta in una stagione passata.

Li capisco: sono tanti gli accordi coloniali che la Sicilia stipula (più o meno da quando è caduto Lombardo) che anch’io sto perdendo il conto. No, cari amici! Non stiamo parlando di QUEGLI accordi, quelli in cui a più riprese Crocetta si impegnava rinunciare a TUTTO il gettito dei contenziosi costituzionali, a rinunciare ad ogni e qualunque autonomia legislativa ed esecutiva, a cancellare i residui attivi verso lo Stato, ad accontentarsi di una frazione di IRPEF e IVA senza che lo Stato indicasse la copertura finanziaria di questa contrazione,… NO, non stiamo parlando di QUEGLI ACCORDI, ormai tristemente storici.

Stiamo parlando di un NUOVO ACCORDO, fresco fresco, IN CUI LA REGIONE SI STA IMPEGNANDO, PUR ESAUSTA, A FARE 1,74 MILIARDI DI TAGLI NEL PROSSIMO DECENNIO, CASO CREDO UNICO IN ITALIA! In cambio di che? Ora ci arriviamo.

È pur vero che l’ultimo di quegli accordi nefasti, quello sull’IVA, arrivò poi in Consiglio dei Ministri nel dicembre 2017 per tradursi in decreto legislativo nel successivo 2018, quando già c’era Musumeci. Allora il nostro Presidente, invitato come “Ministro”, delegò l’assessore Falcone, e il decreto fu approvato all’unanimità, senza neanche mezza dichiarazione a verbale da parte del delegato del Presidente-“Ministro”. Quindi, anche su QUEGLI accordi, Musumeci porta una responsabilità gravissima. Ma ora non stiamo neanche parlando di ciò: stiamo parlando di QUESTI accordi, nuovi, e per certi versi ancor più devastanti nei loro effetti di quelli di Crocetta.

 

I “tagli” sono stati pudicamente chiamati dal Vicepresidente Armao “risparmi”. E detto così suona pure bene. Non volete risparmiare sugli stipendi dei dirigenti regionali? Ma che difendete l’indifendibile?

Eh no, cari amici, le parole hanno un peso. Se alla Regione fossero imposti “risparmi”, per eliminare sprechi o privilegi, il cui gettito poi venisse dirottato sui bisogni dei Siciliani, io oggi sarei il primo a battere le mani! Ma qua non possiamo chiamarli risparmi se l’esito di questa mannaia è togliere risorse nette alla Sicilia per darle allo Stato che poi le dirotta verso le parti già più ricche del Paese. Questi non sono “risparmi”, On. Prof. Armao, questi sono solo “tagli”, tagli da macellaio e indiscriminati sulla pelle dei Siciliani, fatti per fare un regalo netto allo Stato.  Chiamiamo le cose con il loro nome per favore.

Ma l’obiezione in relativo più ricorrente è che dovremmo invece ringraziare il governo Conte, perché ha “consentito” alla Regione di “spalmare” il disavanzo in 10 anziché in 3 anni. E quindi? Questo sarebbe il ringraziamento? Non solo Conte è così buono da farci rientrare poco per volta, ma ci lamentiamo pure se, in cambio, ci chiede una cosuccia “piccola piccola”, come castrarci violentemente?

A parte il fatto che un mio amico commercialista molto pignolo da un punto di vista lessicale mi fa notare che tutt’al più si dovrebbe parlare di “ripartizione”: il termine “spalmare” sarebbe forse più indicato per alcuni noti prodotti alimentari applicati sulle fette biscottate. Pignoleria linguistica? Sì, pignoleria, ma che rivela che molto spesso chi parla di questi argomenti, come vedremo giusto più avanti, non sa in genere neanche di cosa si stia parlando.

A parte ancora il fatto che, se questa narrazione fosse vera (e vedremo che non lo è, se avrete pazienza di seguirmi), a casa mia questo si chiama RICATTO e non AIUTO: ti faccio chiudere il bilancio ma in cambio mi dai i primogeniti da offrire al dio Baal? “Lo Stato c’è”? Direi piuttosto che “ci fa”! Non ci sarebbe niente di male, in linea di principio, a chiedere “rigore in cambio di salvezza”, ma questo sarebbe se si chiedesse una riqualificazione QUALITATIVA della spesa verso usi più produttivi o socialmente più rilevanti, non una mannaia QUANTITATIVA in cui lo Stato “in cambio” saccheggia senza pudore le ultime risorse vitali della Sicilia, quando già questa ha la spesa pubblica pro capite fra le più basse d’Italia e ridotta ai minimi termini.

A parte infine il fatto che la Regione non ha perso, nel 2015, la propria potestà esclusiva di gestire la propria contabilità, come la propria amministrazione, come asserito esplicitamente dall’art. 14 dello Statuto, implicitamente dall’art. 19, che impone alla Regione SOLO di mantenere la stessa decorrenza dell’anno finanziario dello Stato e null’altro, e fattualmente dal fatto che la Regione ha sempre legiferato sulla propria contabilità o ha applicato analogicamente le regole della Contabilità di stato in piena autonomia legislativa ed esecutiva. Vero è che la Legge 196 del 2009 (la legge-delega da cui deriva l’armonizzazione della contabilità pubblica) è considerata dalla Corte Costituzionale “grande riforma economico-sociale”, e quindi applicata anche alle Regioni a statuto speciale, ma ciò non comprime l’autonomia legislativa della Regione che, su questioni non primarie, mantiene tutti i propri diritti legislativi. La Regione – in due parole – potrebbe DA SOLA  ripartirsi il disavanzo, con una legge regionale, secondo quelle che sono le proprie esigenze. Non è sotto commissariamento dello Stato, se non di fatto e illegittimamente, e quindi lo Stato NON PUÒ CONCEDERE CIÒ CHE NON È IN SUO POTERE. Lo Stato non ha alcun diritto costituzionale di decidere su quanti anni si debba ripartire il disavanzo della Regione. L’unico obbligo che ha la Regione è quello di mantenere l’equilibrio tra le Entrate e le Uscite e, indirettamente, a non fare crescere il debito pubblico nazionale. All’interno di questo ambito, attribuire altri poteri allo Stato è come chiedere a un vicino di casa quando posso affacciarmi al balcone o andare in bagno. E in cambio di questa autorizzazione dargli soldi. Un’estorsione!

Potrei fermarmi qua? Forse sì, ma non posso farlo, perché l’affermazione non è solo moralmente insostenibile; essa è anche oggettivamente FALSA.

E qui entriamo un po’ sul tecnico. Ma cercherò di essere divulgativo al massimo.

 

Diamo un’occhiata all’ultimo rendiconto approvato dalla Regione, quello al 31 dicembre 2018. Un po’ in ritardo vero? Lasciamo perdere…

Le questioni sono tante, mi lascio le più rilevanti per ultime.

Premettiamo che la legislatura ha trovato progressivamente come inesigibili residui attivi (crediti) che erano stati stanziati prima dell’agosto 2015 (era Crocetta), cioè prima di quando si sarebbe dovuto eliminarli, approfittando del “riaccertamento straordinario” dei residui disposto dalla grande riforma della contabilità pubblica (la cosiddetta “armonizzazione” di cui al D.L.vo 118/11 e successive modifiche e integrazioni).

Se questi residui fossero stati cancellati quando era il momento opportuno, gli eventuali disavanzi che ne fossero nati sarebbero stati ripartiti sui 30 anni successivi, diventando sostanzialmente irrilevanti, e non staremmo qua a discutere se ripartirli su 3 o su 10 anni, con effetti a breve devastanti.

Come mai ALLORA la Regione non ha cancellato questi residui? E che cosa cancellò invece nel 2015?

Per dirlo in una battuta: allora la Regione era come un medico che doveva tagliare una gamba in cancrena, ma – siccome da Roma era arrivato l’ordine di tagliare quella buona – essa obbedì all’ordine, ma non ebbe il coraggio di tagliare anche quella realmente in cancrena perché già lo scandalo di una gamba tagliata era troppo duro da mandar giù, figuriamoci se avessero detto che di gambe ne tagliavano due. Così, fuor di metafora, nel 2015 la Regione tagliò di colpo circa 5 MILIARDI di CREDITI VERSO LO STATO, relativi a tributi che questo aveva illegittimamente trattenuto e non trasferito alla Regione.

Il decreto 118 dispone che i crediti verso amministrazioni pubbliche sono solvibili PER DEFINIZIONE, figuriamoci quelli verso lo Stato! E però, com’è come non è, nell’agosto del 2015, muti muti, al Governo della Regione cancellarono di colpo tutto il patrimonio della Regione per fare un mega-regalo allo Stato, che di colpo perdeva tutte le proprie pendenze passive nei confronti della Regione Siciliana.

Si trattava di crediti certificati dalla parificazione della Corte dei Conti poche settimane prima, quando era stato approvato il rendiconto del 2014. Non erano crediti che cessavano di essere tali per effetto della nuova normativa, e quindi si sarebbero dovuti stralciare solo se realmente inesigibili. Un credito verso lo Stato è esigibile per definizione, ma la Regione li ha cancellati lo stesso. Non risulta agli atti corrispondenza o riconciliazione tra la Regione e il MEF propedeutica a tale cancellazione. Una commissione d’inchiesta nominata nella successiva legislatura dall’attuale vicepresidente Armao non ha trovato sufficiente istruttoria per la cancellazione di quei crediti. E, dulcis in fundo, la cancellazione dei suddetti crediti, nel documento ufficiale adottato a suo tempo dal Governo regionale, AVEVANO LO SPAZIO PER LA MOTIVAZIONE DELLA CANCELLAZIONE, LA CAUSALE, INSPIEGABILMENTE BIANCO!

Con questo colpo di mano la Sicilia è andata in “disavanzo” (attenti a questa parola magica, perché ci ritornerò) di circa 5 miliardi di euro; disavanzo ripartito sui successivi trent’anni con grave pregiudizio, direi quasi per un’intera generazione, sullo sviluppo della Sicilia. La Regione dovrà, per moltissimi anni, realizzare avanzi primari, accantonare somme inutilizzate presso la tesoreria unica e, in una parola, non potrà dedicare alcuna risorsa aggiuntiva a investimenti e servizi, anzi, dovrà andare a sfasciare quel poco che c’è.

In questo quadro, “tagliare anche l’altra gamba”, cioè tagliare un altro miliardo e passa di residui attivi REALMENTE INESIGIBILI, significava rendere l’operazione talmente macroscopica che il furto difficilmente sarebbe passato come inosservato o sbrigativamente attribuito alla “allegria” dei conti del passato. Così abbiamo “ammazzato” i crediti buoni, e ci siamo tenuti i “cadaveri”, poi regolarmente esplosi negli anni successivi, con la creazione di altri disavanzi, questi SENZA NEANCHE IL BENEFICIO DELLA DILAZIONE STRAORDINARIA!

Questo però è il passato, il 2015, o poco dopo, con gli effetti a valle fino al 2018.

 

Vediamo ora cosa si legge nel Rendiconto del 2018 e in particolare il “prospetto dimostrativo del risultato di amministrazione”

Leggiamo che a fine anno la Regione ha in cassa liquidità per 314 milioni, residui attivi per 4,484 miliardi, residui passivi per 3,525 miliardi, due fondi pluriennali vincolati (impegni per spese future) per 356 e 561 milioni. La somma algebrica non dà un disavanzo: dà ancora un modesto avanzo di 357 milioni.

Che cos’è, in teoria, l’avanzo o disavanzo di amministrazione (diciamo, sinteticamente, il risultato di amministrazione)? È quello che in Ragioneria chiamiamo il “patrimonio numerario netto”. Non TUTTO il patrimonio della Regione, ma solo la cassa più i crediti a breve (in corso di incasso) meno i debiti a breve (in corso di pagamento, comprese le spese pluriennali già impegnate). Diciamo, in una parola, la “cassa virtuale”.

Questa “cassa virtuale” non può essere spesa tutta, perché da questa devono essere detratte alcune somme accantonate, vincolate o destinate ad investimenti. Ciò che residua è l’avanzo “disponibile”, cioè una liquidità che può essere destinata a qualsiasi spesa come un’entrata fra le altre. Se ciò che residua è negativo diventa “disavanzo”, e il successivo bilancio la deve coprire, perché la cassa “virtuale” non può andare in “rosso”.

 

A ben vedere, però, questo avanzo di 357 milioni è la somma algebrica di due grandezze: un disavanzo nei fondi ordinari di 6 miliardi e 106 milioni, e un avanzo di 6 miliardi e 463 milioni nei fondi a destinazione “vincolata”. Strano no? Ora ci arriviamo.

 

Intanto già una stranezza che non riesco a spiegarmi. Nei quasi 4 miliardi e mezzo di residui attivi (crediti da incassare) trovo che gli “accertamenti di tributi” sono pari a ZERO!

Ma come? Nell’art. 36 c’è scritto che la Regione provvede alle proprie spese a mezzo di tributi, e gli accertamenti di tributi sono pari a zero? La spiegazione è che lo Stato le ha sottratto l’accertamento dei tributi che le spettano, i tributi devoluti, IRPEF e IVA, e ha trasformato incostituzionalmente la Sicilia in regione a “finanza derivata”. Così la Regione non sa più neanche quanti tributi sono maturati o accertati (e dal 2021 anche riscossi, visto il regalo di “Riscossione Sicilia” allo Stato) in Sicilia. Il gettito dipende da quello che la Ragioneria generale dello Stato “decide che sia” la quota maturata in Sicilia, cioè dal puro arbitrio del MEF. Le altre regioni a statuto speciale, più o meno, hanno il controllo degli accertamenti, e quindi non possono essere defraudate sulle entrate. Le regioni a statuto ordinario hanno un quantum stabilito a seguito di negoziazione e sanno che possono contare almeno su quello. La Sicilia ha una percentuale teorica dei tributi maturati nel suo territorio, e quindi non ha alcun quantum su cui contare, ma poi non controlla gli accertamenti, e quindi è esposta al totale arbitrio delle determinazioni del MEF, che può decidere se e quanto buttare la Sicilia sul lastrico, per poi chiederle in cambio del salvataggio QUALUNQUE COSA. Zero accertamenti da tributi! Nemmeno da IRAP che è certamente un tributo regionale. Bene, facciamo finta di niente e andiamo avanti.

 

Come mai l’avanzo è somma algebrica di due spaventosi avanzi e disavanzi, rispettivamente, così elevati? Bisognerebbe approfondire, ma – a colpo d’occhio – ciò è frutto del commissariamento finanziario della Regione che dura almeno dall’inizio della Presidenza Crocetta e che continua sino ad oggi senza soluzioni di continuità.

La Regione amministra fondi, soprattutto europei, ormai in pratica “per conto dello Stato”, che ne vincola ogni minutissimo uso. Ad esempio i contributi sanitari. Man mano che la Sicilia viene sempre più commissariata aumenta la spesa “vincolata”, e queste sono le uniche entrate sicure per la Regione, quelle sulle quali la Regione non decide più nulla ma esegue come un automa, come l’ultima delle amministrazioni coloniali. Mentre, su tutto il resto, cioè su tutte le funzioni vitali delle pubbliche amministrazioni, compreso il sostegno di tutti gli enti locali siciliani, i continui saccheggi dello Stato hanno reso strutturalmente insostenibile la spesa, da cui l’enorme disavanzo, ma anche il collasso dei servizi e degli investimenti pubblici che i Siciliani toccano ogni giorno con mano, e di cui non riescono a darsi spiegazione: ora se la prendono con il Governo regionale di turno, ora con il clima, con il carattere delle persone,… Non sanno di essere “cittadini” (diciamo) di uno Stato che ha tolto loro le scarpe dai piedi. Ah se lo sapessero…

Potrei essere tecnicamente smentito. E ne sarei contento. Sono pronto ad ammettere questo o quell’errore, ma non credo di essere lontano dal vero nel quadro generale. E comunque, nello spaventoso disavanzo (più di 6 miliardi) della parte non vincolata c’è dentro il FURTO del 2015, mai sanato e, secondo me, mai sanabile.

 

Ancora…

I poco più di 300 milioni di avanzo, tolta la parte accantonata, vincolata e destinata agli investimenti, da +357, diventano –7,313, cioè i famosi 7 miliardi e rotti di disavanzo che ora ci consentirebbero di “spalmare” come la Nutella.

 

Ma come mai questo passaggio drastico al segno negativo? Con riserva di tornare sui dettagli…

Sulla parte “accantonata” leggo una voce ENORME, pari a 2 miliardi e 439 milioni di accantonamenti sotto la voce oscura di “Fondo anticipazione liquidità DL 35 del 2013 e successive modifiche e rifinanziamenti”. Confesso di essere un teorico e non mi spingo sino a queste tecnicalità. Non sapevo a prima vista di che si trattasse. Sono andato a vedere. Incredibile. È stato istituito un “fondo” per garantire agli enti locali e alle regioni una disponibilità sempre e comunque di liquidità. Ma lo Stato la costituisce, a quanto pare, sequestrando la liquidità esistente dagli stessi enti locali, impedendo che questi se la spendano. Ma quando poi questa “prudenza” arriva a queste cifre fantasmagoriche, ci si chiede se non si tratti di un’altra vera e propria rapina a mano armata.

Cosa direste se un vicino di casa entrasse a casa vostra e vi dicesse: “Amico mio, ha mai pensato che da un momento all’altro le potrebbe succedere una disgrazia e potrebbe dover spendere di colpo 100.000 euro? Guardi, sono sicuro che lei sarebbe in difficoltà se succedesse una cosa del genere, allora facciamo una cosa: li dia a me questi 100.000 euro, glieli ‘conservo’ io.”

Come definireste questo “amico”? A casa mia si chiama “estorsore”. Lo Stato pretende di estorcere 2 miliardi e mezzo alla Regione per “proteggerla” da carenza di liquidità. E per farlo le sottrae tutta la liquidità, mettendola in difficoltà attuale per combattere una difficoltà “potenziale”. Ma che leggi abbiamo fatto? Ed è costituzionale? Boh….

Altra anomalia:

la “sottrazione” della “parte vincolata” comporta un’altra decurtazione per ben 4 miliardi e 199 milioni di euro.

Certo, se è vincolata…. Ma qua c’è un’altra cosa che non capisco. Se la parte vincolata del risultato di amministrazione ha un avanzo superiore ai 6 miliardi, che senso ha detrarre poi questi 4 miliardi e passa dall’avanzo? Secondo me là è un difetto della legge. La detrazione dal risultato di amministrazione della parte “vincolata” dovrebbe esserci solo in presenza di disavanzo della parte vincolata medesima. Se abbiamo avanzo da entrate vincolate queste coprono tutti i vincoli sulle uscite non ancora impegnate. Certo, allora l’avanzo della parte vincolata non sarebbe più lo stesso ma solo di 2 miliardi, e non sarebbe più in grado di coprire i 6 miliardi e passa di disavanzo della parte non vincolata. E quindi quello che guadagneremmo qua di minori vincoli sul risultato, lo perderemmo sul risultato stesso che si abbasserebbe di pari importo. Ma si farebbe chiarezza, e sarebbe ancora più chiaro che il bilancio della Regione non “sbilancia” perché non copre i vincoli futuri, ma perché, molto più banalmente, non copre, e non può mai coprire, il disavanzo generato illegittimamente nel 2015 da cui nasce lo sbilancio. Se io nei prossimi anni vado a togliere sempre i vincoli futuri, finisce che non solo quest’anno avremo un disavanzo di 7 miliardi e rotti, ma lo avremo ogni anno. E che facciamo l’anno prossimo? Ci si chiederà di coprire in un anno solo vincoli per circa 4 miliardi e passa? O ci sarà un nuovo accordo stato-regione? Da approfondire, ammetto, ma c’è qualcosa che non torna anche qua.

 

Di passaggio noto la cifra miserabile destinata agli investimenti, pari a 25 milioni scarsi, quando la Sicilia ha bisogno di ben altro. Dov’è finito il trasferimento per le perequazioni infrastrutturali di cui all’art. 38 dello Statuto? Secondo i nostri calcoli sono circa 4 miliardi e mezzo l’anno. Ricevuto quello avremmo un avanzo che potremmo sì, destinare poi in modo realistico agli investimenti.

 

Ma veniamo al cuore dei problemi.

Alla fin fine sin qua abbiamo contestato questo o quello, ma sembra che ci sia là un debito, ineludibile, che prima o poi va pagato, e lì non c’è nulla da fare.

Nei fondi ordinari della Regione all’1 gennaio 2018 figurano ben 5 miliardi 589 milioni di disavanzo d’amministrazione. Tolto quello non ci sarebbe nessuna emergenza. Si deve chiudere o no questo benedetto disavanzo?

 

E qui il colpo di scena!

Quel disavanzo NON È DEBITO, È UN NUMERO PURO, UN FETICCIO CHE ADORIAMO E AL QUALE STIAMO IMPICCANDO UN POPOLO DI 5 MILIONI DI ABITANTI!

 

Ma come? Il Disavanzo di Amministrazione non è un debito? E allora che cosa è?

 

Abbiamo detto sopra che il disavanzo è la somma, in breve, di cassa più residui attivi meno residui passivi. Se è un disavanzo, vuol dire che i debiti per cui già c’è l’impegno, cioè diciamo “a breve” (i residui passivi più il fondo pluriennale vincolato, anche se quest’ultimo a breve non è) sono talmente tanti, che superano i residui attivi (i corrispondenti crediti “a breve”, cioè già accertati) più la cassa.

 

Quindi intanto non è “debito” in senso giuridico, perché non comprende i debiti di cui ai processi di indebitamento veri e propri, ma solo quelli già impegnati, quindi potremmo dire per dilazione di pagamenti. Ma, di più, nel caso della Sicilia, NON CI SONO NEMMENO QUELLI!

 

La Regione, infatti, nel tempo, la massa di crediti tributari che non era riuscita ad incassare perché già incamerata dallo Stato, non era MAI riuscita ad incassarli, andando già in passato in un disavanzo di fatto ancorché questi residui attivi fino al 2015 erano mantenuti nel bilancio della Regione. Come faceva fronte la Regione a questo sbilancio? Come ha fatto la Regione, per anni e anni, ad andare avanti se questi crediti non erano incassati?

Semplice. Si è indebitata, ha fatto tagli, i debiti a sua volta non furono pagati ed alcuni di questi andarono in prescrizione, ha portato al massimo le aliquote delle addizionali e dell’IRAP. Insomma, vero è che queste entrate non si sono realizzate, ma è anche vero che le spese che a suo tempo, ormai remoto, fronteggiavano queste entrate, sono state o fatte con altre entrate, magari entrate da indebitamento, o non fatte del tutto. Ma i “residui passivi” a fronte di quei “residui attivi” oggi NON CI SONO PIÙ.

IL DISAVANZO CHE SI È CREATO NEL 2015, HA SÌ DANNEGGIATO IN MODO MORTALE LA SICILIA, MA NON HA CREATO DEBITO VERO, BENSÌ UN DISAVANZO IN MASSIMA PARTE PURAMENTE CONTABILE!!

 

In altre parole, se noi andiamo a dissezionare quel “disavanzo di amministrazione iniziale all’1.1.2018” di 5,589 miliardi, da cui nasce tutto lo sbilancio, e andiamo a cercare quali debiti o residui passivi vi stanno dietro, scopriamo che non c’è più NULLA! Esso è un puro feticcio contabile, sul quale stiamo impiccando una popolazione di 5 milioni di abitanti! Il danno patrimoniale che abbiamo subito nel 2015 e da cui tutto deriva è una perdita di attività non un aumento di passività.

 

E sull’altare di questo “numero puro” noi che facciamo? Immoliamo al Moloch una regione grande quanto una media nazione europea? Non mi dite per favore che “così dice la legge”. Le leggi quando sono sbagliate si cambiano.

 

In pratica cosa deve fare la Regione per questi disavanzi puramente contabili, che siano quelli originari del 2015, che sia quello emerso nel 2018? Deve andare in spaventoso avanzo, cioè deve BLOCCARE PER 10 O 30 ANNI PARTE DELLE PROPRIE ENTRATE FACENDOLE RESTARE INOPEROSE PRESSO LA TESORERIA UNICA (cioè, in ultima analisi, lo Stato), senza che questo serva mai a pagare alcun debito.

 

Siete ancora convinti che lo Stato sia stato un “padre buono” che ha concesso di “spalmare il debito su dieci anni anziché tre”? Non c’è alcun debito. Quelli veri della Regione non sono questi, ed entrano in bilancio progressivamente, man mano che arrivano a maturazione, li troviamo tra le uscite e sono coperti dalle entrate.

L’unica cosa da fare è accertare, in questo disavanzo dei fondi ordinari della Regione, quali sono i residui passivi effettivamente ancora da pagare, e – se questi non sussistono più – il disavanzo deve essere semplicemente AZZERATO. E questo può e deve farlo la Regione in tutta autonomia. Voglio vedere quale Corte dei Conti potrebbe obiettare l’azzeramento di un disavanzo dietro il quale non c’è più alcun residuo passivo.

Se non si fa così, peraltro, non finisce qua. Le cose andranno sempre a peggiorare sino all’eliminazione fisica della Sicilia.

Perché se la Regione si continua a far carico di spese che non hanno le necessarie entrate a coprirle, in barba alla previsione costituzionale sui livelli essenziali di prestazioni, qualunque taglio non servirà a ripristinare l’equilibrio, ma creeerà sempre nuovi disavanzi, che lo Stato punirà con tagli sempre più feroci, fino alla totale distruzione non della Regione Siciliana, ma proprio della Sicilia in quanto tale.

Non credo che meritiamo o possiamo sopportare questo.

Si dice sempre che questa epidemia è una guerra. E in guerra non si toglie la sopravvivenza a quella che in teoria è una regione del territorio metropolitano dello Stato, anzi, in teoria, nemmeno a una colonia si tolgono le entrate essenziali alla sopravvivenza o la si carica di spese, tasse e tagli insostenibili, togliendole tutte le entrate e lasciando solo quelle vincolate.

Per colmo della beffa, l’accordo che impone il taglio di 1,74 miliardi (il primo di una lunga serie se non ci ribelliamo), esenta da questi tagli proprio il “contributo al risanamento della finanza pubblica”, cioè i soldi che lo Stato impone alla Sicilia con una pressione quadrupla rispetto a quella di tutte le altre regioni.

Quella “spesa” non la possiamo tagliare, quasi tutte le altre sì.

GUAI AI VINTI!

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