La privatizzazione e liberalizzazione dei servizi

Che cos’hanno in comune i seguenti fatti?

La piccola ditta palermitana social food è stata “scalata” dalla multinazionale Glovo.

Una direttiva UE ha messo da tempo in difficoltà tutte le società di vigilanza privata regionali, per “aprire alla concorrenza” su scala europea.

Le concessioni dei lidi devono essere revocate alle piccole imprese che li gestiscono da sempre ed essere affidati a grandi multinazionali.

La Huber cerca dappertutto di far fuori i tassisti privati.

Il denominatore comune è sempre lo stesso: il capitale, avendo saturato il mercato delle merci fisiche, da alcuni decenni ha investito violentemente quello dei servizi, tradizionalmente dominato da piccole e medie imprese, più o meno a conduzione familiare.

È un fenomeno spontaneo? No, è un fenomeno accompagnato, e anche pesantemente, dalla politica. Lo stesso Stato che un tempo proteggeva questa classe di imprenditori oggi (super-stato europeo) pone leggi e paletti per distruggerle.

Il meccanismo è molto semplice. Il capitalismo è come un tessuto malato, cancerogeno, della società, che per sopravvivere ha bisogno di espandersi sempre più. In passato ha svolto una funzione importante per favorire il progresso, tecnologico e sociale, dell’umanità. Ma come ogni tessuto che cresce troppo e divora tutto il resto, finisce per essere patologico e non più sostenibile. Non è la “crescita” a non essere più sostenibile, ma l’accumulazione del capitale che, non potendo procedere all’infinito, alla fine diventa insostenibile.

Il capitale si estende, dalla sua nascita nell’ambito strettamente finanziario, in tutte le direzioni possibili. In termini geografici cerca di conquistare a sé sempre nuovi paesi. In termini di sfruttamento delle risorse ambientali, cerca di mettere in produzione sempre più risorse naturali, riproducibili e no. In termini di classe, cerca di appropriarsi di una quota sempre maggiore di valore aggiunto, a discapito degli altri fattori produttivi, e soprattutto del fattore produttivo lavoro. In termini settoriali cerca di invadere sempre più settori.

Dal primitivo settore finanziario si è esteso al commercio, da questo all’industria, da questa ai servizi divisibili, da questi a quelli indivisibili, anche per beni soggetti a monopolio naturale.

E dovunque arriva scalza le precedenti modalità di produzione di beni e servizi. Queste sono, o erano, le seguenti: l’autoproduzione nelle famiglie, la produzione ‘artigianale’ nelle piccole e medie imprese a conduzione familiare, la produzione pubblica affidata allo stato o ad altri enti, le produzioni corporative affidate alle professioni, arti e mestieri.

Dovunque cerca di rubare a tutti spazio.

I suoi ideologi spacciano i suoi continui successi come una “legge di natura”, pertanto inarrestabile. In realtà questa “natura” è potentemente aiutata da altri strumenti, che con la tecnologia o l’economia hanno poco a che vedere. La cultura, innanzitutto, da quella pubblicistica, a quella dell’intrattenimento, a quella scientifica. Il capitale, poco per volta, colonizza tutti gli spazi antropologici, persino la religione, per sottometterla ai propri fini e propagandare il proprio fine come l’unico possibile. La politica e il diritto, anch’essi “comprati” e piegati ai demoni del grande capitale, sono piegati a fare le leggi e ad usare tutti gli strumenti coercitivi concessi dalla supremazia pubblica, a servizio del capitale e dei suoi interessi. Questa supremazia, e questa potestà pubblica si sono faticosamente costituiti in passato per tutelare interessi comuni. Ora lo Stato è ucciso, e il suo corpo usato come zombie per servire da “comitato d’affari” (come profeticamente diceva Marx) non della “borghesia”, che è una classe ottocentesca ormai inesistente o quasi, ma dell’aristocrazia del grandissimo capitale. E se tutto ciò non basta, c’è sempre il terrorismo o la malavita che pronta a eliminare fisicamente chi sta fuori dal coro.

Tutte le istituzioni, anche le più sacre, ad una ad una vengono conquistate e colonizzate. Ma il capitalismo è come la lupa di Dante. Più mangia e più ha fame. E i limiti dell’accumulazione arrivano comunque. Non c’è più terra da sfruttare, gente da affamare, popoli da conquistare, ceti medi da distruggere.

Alla fine il crollo di questo sistema è fatalmente vicino, qualunque mossa disperata si tenti di fare. Non bisogna aver paura del “nuovo ordine mondiale”. Perché il capitalismo è incapace di qualunque ordine. Esso è “disordine” per sua stessa natura, è instabile, destinato alla crisi e infine al crollo.

Ma il crollo può durare vent’anni o duecento, non si sa con esattezza. L’Impero Romano aveva perso di vitalità già alla fine del II secolo d.C. ma quanto ci ha messo a spirare? Secoli, forse millenni se si considera anche la sua parte orientale. E forse non è mai morto del tutto, se si considera il Sacro Romano Impero, quello zarista e i vari eredi, veri o presunti, delle aquile romane.

Anche il capitalismo globale andrà via lasciando un lascito che potrà durare secoli. Ma prima la bestia morente rischia di fare danni seri all’umanità intera.

Nel frattempo le vicende sopra descritte rivelano la superficialità di molte “battaglie” che i media ci propinano.

Da un punto di vista concreto, tornando ai “servizi”, nessuno stato dovrebbe permettere che la rete di imprese, e il capitale nazionale che sta dietro, venga smembrato per essere fagocitato dal grande capitale internazionale. Se questo è tollerabile nel mondo della produzione industriale o della finanza, non lo può essere in quello dei servizi.

Il peccato originale, quindi, non è stato il “Mercato Europeo Comune” del 1957, realizzato peraltro solo dal 1968. Quello poteva anche essere cosa buona e giusta.

Il peccato originale è stato l’Atto Unico di Bruxelles del 1987. Quello che, prima ancora della UE, avrebbe dovuto condurre per il 1992 alle quattro fondamentali libertà di circolazione: merci, servizi, capitali e persone.

Bisognerebbe avere il coraggio di tornare su questi punti, e dire “questo sì, questo no”. Le merci sì, fatte salve alcune produzioni di interesse strategico nazionale. Le persone sì, fatta salva la possibilità di riprendere il controllo delle frontiere se necessario per esigenze di ordine pubblico.

I servizi NO! I servizi devono essere affidati alle corporazioni locali. Saranno anche poco poco più costosi. Ma quello che paghiamo come consumatori lo riceviamo con gli interessi con la distribuzione del reddito in sede locale che ne deriva. Questa rete di imprenditori dei servizi sono l’architrave economico di una Nazione. Il “servizio” è quasi sempre un monopolio naturale di tipo territoriale. Come tutti i monopoli genera extra-profitto. E se questo profitto resta in loco, sono posti di lavoro e dividenti, e quindi gettito, e quindi servizi pubblici, in una parola “benessere sociale”, che resta in loco. Privatizzare tutto significa trasformare la propria Nazione in una prostituta, ma di quelle che si svendono a poco prezzo.

 Significa disprezzare se stessi e la propria Terra.

E anche i capitali NO. La libertà di circolazione dei capitali è quella che consente ai “mercati” di strangolare gli stati sovrani togliendo loro ogni potestà finanziaria o monetaria. Quindi no, i capitali non devono circolare liberamente o, al massimo, tale libertà deve essere soggetta a limitazioni ogniqualvolta è in gioco un interesse pubblico.

Inutile parlare di diversi gradi di autonomia, decentramento, indipendenza. Se hai dato le tue risorse al privato, se hai dato le tue spiagge al privato, che questo demanio sia statale o regionale cambia poco. Sì, potrai prenderti le royalties, ma queste se avrai come controparte una potente multinazionale saranno comunque basse. Ed è altrettanto inutile parlare di “destra” e di “sinistra”. Si scannano sui migranti e sulle agende LGBT (due “tradimenti”, intendiamoci) solo per distrarvi dalle scelte di politica economica più profonde, su cui sono sostanzialmente concordi.

Ma non abbiate paura di un drago morente. Il suo punto debole è l’informazione, quella vera. La consapevolezza di quello che sta accadendo è in grado di distruggerlo.

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