Sicilia preistorica

Capitolo 1: Sicilia preistorica e protostorica

  • 1 – Formazione geologica della Sicilia e leggende primordiali

La Sicilia è una terra geologicamente piuttosto recente. Tranne poche rocce, forse “isole” a suo tempo, fino all’era Terziaria avanzata, essa praticamente non esisteva. All’inizio, circa 230 milioni di anni fa, c’era solo il grande golfo della Tetide, tra ciò che poi sarebbe stata l’Europa e ciò che poi sarebbe stata l’Africa. A quei tempi, ciò che un giorno sarebbe stata la Sicilia, giaceva in fondo ai mari. Il movimento dell’Africa verso l’Europa è lo stesso che in epoca lontanissima fece chiudere quello che era il “golfo” dell’Oceano Indiano nell’attuale Mediterraneo, lo stesso che fece emergere Alpi e Appennini. Questo processo di corrugazione durò dai 45 ai 10 milioni di anni fa.

Poi – com’è noto – vi fu un’epoca, nelle lontane ere geologiche, nella quale il Mediterraneo, trasformatosi in mare chiuso, finì per prosciugarsi quasi del tutto, intorno alla fine del Miocene (6/7 milioni di anni fa), finché l’apertura dello Stretto di Gibilterra, circa 5 milioni di anni fa, non ne inondò nuovamente i fondali.

Con il passare del tempo si ebbe la progressiva emersione della Sicilia. Dapprima di forma approssimativamente ellittica, si saldò poi con una grande isola nata in contemporanea al suo sud, data dall’attuale massiccio dei Monti Iblei.

Intorno ai 500.000 anni fa l’Isola avrebbe assunto grosso modo la conformazione attuale. La comparsa, dal fondo del mare, dell’Etna, poi la sua saldatura con la Sicilia, l’erosione, e la formazione di qualche piccola pianura alluvionale, diedero poi a poco a poco alla Sicilia i contorni con i quali la conosciamo oggi.

Similmente le piccole isole che la contornano sono quasi tutte ex vulcani oggi spenti, con l’eccezione di Vulcano e Stromboli, ancora vivi, e qualche residua attività effusiva nella stessa Lipari.

L’alternarsi di diverse glaciazioni consentì il passaggio in Sicilia di molte specie animali dal Continente; il successivo innalzamento dei mari, trasformando la Sicilia nuovamente da massiccio montuoso in isola propriamente detta, avrebbe determinato un relativo isolamento delle specie viventi nella stessa, con fenomeni di “nanismo insulare” tipici, tra i quali il più noto è certamente quello degli elefanti nani, i cui teschi ritrovati dagli antichi siciliani furono scambiati per quelli dei mitici Ciclopi, i mostruosi giganti dotati di un solo occhio nel centro della fronte, considerati dai Greci i primi favolosi abitatori dell’Isola.

Non diversamente privo di fondamento il mito, sempre greco, dei Lestrigoni, giganti antropofagi che, dopo i Ciclopi, avrebbero abitato l’Isola. L’unico fondo di verità di questa leggenda potrebbe essere quello della cattiva sorte toccata ai primi navigatori che dall’Oriente civilizzato si erano avventurati in questa terra, ancora nel buio della preistoria.

Anche dal punto di vista antropico la storia siciliana è relativamente recente.

Nella realtà, se dobbiamo dare credito ai ritrovamenti paleontologici, la Sicilia – restando isolata dal Continente – non conobbe insediamenti di ominidi, né di antenati diretti dell’Homo sapiens. Il Paleolitico Inferiore, quindi, vede la Sicilia del tutto priva di insediamenti umani o pre-umani.

Non diversamente accade per il Paleolitico Medio. Gli insediamenti di neanderthaliensi si spingono sino alla Calabria estrema, ma non giungono in Sicilia. Finché l’uomo non inventa una qualche forma di zattera la Sicilia resta uno scrigno naturale inespugnabile per gli esseri umani.

  • 2 – L’Età della Pietra

È solo intorno al 20.000 a.C. (Paleolitico Superiore) che i primi gruppi di sapiens si stabiliscono in Sicilia. Da questo momento in poi, lentamente, le varie “culture” tecnologiche si susseguono una dopo l’altra.

Gli studiosi hanno diviso in fasi questa antichissima storia di Sicilia, in funzione delle varie tecnologie adoperate. A parte un primo, dubbio, periodo “aurignaziano” (pietre scheggiate ma ancora in assenza di vere e proprie lame), il Paleolitico Superiore siciliano sarebbe da ascrivere quasi tutto alla cosiddetta fase “epigravettiana”, cioè la fase della presenza di “lame e punte a dorso abbattuto”. Non deve sorprendere che questi dati tecnologici, apparentemente secondari, segnino la stratificazione cronologica di un popolo, giacché allora gli strumenti di caccia erano l’elemento di distinzione più importante delle culture primitive. L’epigravettiano si innesta, come perfezionamento tecnologico, su un precedente “gravettiano” che in Sicilia non arrivò mai a passare, segno che questa cultura arrivò, poco dopo le primissime testimonianze umane, già ad un certo grado di evoluzione. Dopo l’epigravettiano “antico” dei primi tempi, arrivò quello “evoluto”, tra il 16.000 e il 14.000 a.C. su imitazione di analoghe culture italiane, e infine quello “finale”, tra il 12.000 e il 10.000 a.C. Questa cultura si sarebbe per la prima volta distinta nettamente da quelle contemporanee della Penisola, segno di uno sviluppo ormai autonomo.

Il Mesolitico, con l’introduzione di forme primitive di pastorizia, si data intorno al 10.000 a.C. In Sicilia, a differenza che in altre parti d’Europa, non ci fu mai una vera e propria era glaciale, e quindi il passaggio tra il Pleistocene (cui si ascrive per intero il Paleolitico) e l’Olocene, cui si ascrivono le fasi successive, non fu segnato da mutamenti climatici significativi, ma forse soltanto dall’innalzamento del livello dei mari, giacché alcuni ritrovamenti paleolitici si trovano in aree costiere oggi sommerse, come nei pressi di Levanzo. Anche la tecnologia mostra evidenti segni di continuità, al punto che si è pensato che l’uomo del Mesolitico siciliano sia lo stesso del Paleolitico, soltanto con un lento perfezionamento delle tecnologie adottate. In quest’era si assiste anche alla nascita della pesca, della raccolta intensiva di molluschi marini e terrestri, dell’attività di raccolta di prodotti del suolo e alla diversificazione delle abitazioni rispetto alle primitive grotte.

Il Neolitico, con l’introduzione dell’agricoltura, possiamo datarlo intorno al 6.000 a.C. Il passaggio all’agricoltura sembra sia stato l’effetto di una lenta evoluzione spontanea delle popolazioni siciliane primitive, piuttosto che dell’apporto di migrazioni dall’esterno, delle quali non vi è traccia, data la continuità nell’evoluzione degli stili dei manufatti. Tutt’al più questa evoluzione interna può essere stata influenzata da alcuni contatti a medio raggio con altre popolazioni, italiane o africane, con le quali cominciavano ad esserci rapporti man mano che la navigazione, sia pure con mezzi rudimentali, si andava perfezionando. In questo periodo sono colonizzate per la prima volta le Eolie, Pantelleria, e – sul finire del Neolitico – le Isole maltesi, con le tipiche grandi costruzioni megalitiche. Queste colonizzazioni insulari potrebbero essere ulteriore testimonianza delle migliori abilità di spostamento via mare degli uomini di questo periodo.

La popolazione naturalmente diventa stanziale, e i villaggi, spesso trincerati da un fossato, diventano sempre più frequenti che nel Mesolitico, ma le caverne sono abbandonate solo molto lentamente. Naturalmente migliora la tecnologia, ormai “microlitica” (si trovano cioè molti oggetti minuti, segno del perfezionamento delle lavorazioni sulla pietra), e si diffondono le ceramiche impresse. La fine del periodo neolitico, nonostante la progressiva abbondanza dei raccolti e il perfezionarsi dell’agricoltura, è segnata da una diminuzione degli insediamenti e da uno scadimento delle produzioni tecnologiche e artistiche. Di questo declino null’altro possiamo dire, se dovuto a tensioni “politiche” o a cause naturali, come alluvioni o terremoti, se non meramente registrarlo come un dato archeologico che affiora per un periodo intorno agli inizi del IV millennio a.C.

  • 3 – Il lento formarsi del substrato etnico sicano

L’Eneolitico, con una prima metallurgia del rame, lo registriamo solo nel 3.200 a.C., quando contemporaneamente in Mesopotamia e in Egitto si stava per entrare nella storia propriamente detta (epoca pre-dinastica). È indubbio che in questa fase si hanno contatti con l’area egeo-anatolica e influssi culturali, artistici e tecnologici che provengono da quell’area, almeno per quel che riguarda la Sicilia orientale. Questi contatti sembrano intensificarsi col passare dei secoli. I villaggi agro-pastorali diventano più robusti. L’arte, prima semplice e standardizzata, diventa assai diversificata da sito a sito dell’Isola, sia pure con alcuni elementi tipici ricorrenti. Dai sepolcri si evince una assai probabile stratificazione sociale e un complessificarsi della religione.

Si può parlare invece di una vera e propria Età del Bronzo Antica circa mille anni dopo (2.200 a.C.).
Impossibile stabilire con esattezza le migrazioni o stratificazioni etniche durante la Preistoria. Probabilmente si poteva trattare anche della stessa popolazione, in evoluzione autoctona, con modesti innesti lungo i secoli successivi. Durante l’Età del Bronzo Antica pare che sia venuta in Sicilia una popolazione dalla Sardegna (Liguri o Iberi stando ai miti? Di certo appartenenti allo stesso ceppo mediterraneo degli autoctoni che si trovavano già in Sicilia), che portò con sé la tecnologia del “bicchiere campaniforme” insieme a specifici riti e credenze. Dalla Sardegna arriva anche il megalitismo, fino ad allora sconosciuto in Sicilia, dove ormai c’era e sarebbe restata dominante una tradizione ipogeica (tombe scavate nel sottosuolo), con la citata eccezione di Malta e Gozo. La cultura del bicchiere campaniforme interessò soprattutto la Sicilia occidentale, con una blanda penetrazione solo nel Val di Noto e in un secondo momento, mentre gli influssi egei non vanno a occidente al di là del Belice e dell’Imera. In quest’epoca sono indubbi i contatti commerciali e culturali tra i Sicani (se dobbiamo chiamare già così i primi abitanti dell’Isola) e un altro popolo mediterraneo pre-ariano, i Cretesi, ai quali si deve certo un’accelerazione nella cultura tecnologica in Sicilia. Di questo resta traccia mitica nel volo di Dedalo, che da Creta sarebbe approdato a Càmico, citta sicana, governata secondo la favola dal re sicano Còcalo. Le “invenzioni” di Dedalo alla corte di Cocalo sono il residuo mitologico di una vera esportazione commerciale e culturale tra Creta e la Sicilia. Se non etnicamente, è certo che tecnologicamente in questa fase la Sicilia appare alquanto frammentata. Una cultura tipicamente siciliana di questo periodo è però la “Civiltà di Castelluccio” irradiata dall’entroterra netino verso altre aree come quella etnea o la costa di Gela. Anche le Eolie esprimono in questo periodo una cultura a loro peculiare.

Di certo, intorno al 1.450 a.C (epoca in cui si fa iniziare in Sicilia la Media Età del bronzo), l’etnia siciliana si presenta ormai abbastanza stabile ed omogenea. Siamo nella penombra della Protostoria, da cui arriva qualche luce per il numero sempre più frequente di testimonianze e per la valorizzazione, retrospettiva, delle più remote testimonianze storiche.

In quest’epoca la Sicilia è certamente abitata dal Popolo dei Sicani, la cui leggenda vuole siano venuti in due ondate successive dalla Liguria e dall’Iberia. Le due leggende sembrano ormai avere un qualche fondo di verità storica. Liguri e Iberi (tra cui i Cantabri, antenati degli attuali Baschi) erano popolazioni appartenenti a quel ceppo etnico-linguistico che va sotto il nome di “mediterraneo”, poi sopraffatto dall’invasione ariana sul finire del II millennio a.C. (i Liguri, almeno in parte, sarebbero stati celtizzati, e agli Iberi si sarebbero sovrapposti in Spagna i Celtiberi, di lingua indoeuropea). I Mediterranei costituivano uno dei tre ceppi etnico-linguistici (insieme agli Indoeuropei e agli Uralo-altaici) della grande famiglia “nostratica” o “iaftitica”, dal nome del mitico figlio di Noè, Iafet, da cui sarebbero derivate tutte le lingue caucasiche. Tracce di questa famiglia linguistica mediterranea, poi sostituita dagli indoeuropei, sono rimaste oggi nel Caucaso (georgiano, osseto, etc.) e nel Paese Basco (lingua basca). Come tutti i popoli mediterranei, anche i Sicani sembrano adorare divinità ctonie (legate alla terra o a elementi naturali, quali boschi, laghi, vulcani, fiumi), tutte sottomesse ad una grande divinità femminile rappresentante la natura e la fertilità. In questo periodo i rapporti culturali e commerciali con l’Egeo si intensificano e diventano determinanti, laddove ormai l’Egeo non è più minoico ma miceneo.

  • 4 – Arrivano gli Ariani: i Siculi (preceduti dagli Elimi)

La composizione etnico-linguistica della Sicilia si complica intorno al 1.300 a.C. Gli sconvolgimenti politici legati alla crisi dell’Età del Bronzo nel Vicino Oriente (Popoli del Mare), portano ad uno spostamento di un intero popolo che, approdato in Sicilia, fonda alcune comunità nell’estremo occidente: gli Elimi. Non è noto, a tutt’oggi, se gli Elimi parlassero una delle lingue indoeuropee in uso nell’Asia minore, dalla quale provenivano (com’è noto gli Ittiti e i Luvi portarono queste lingue in Asia minore in epoca molto precoce), ovvero se appartenessero allo stesso ceppo linguistico mediterraneo di Sicani e Cretesi. Il mito li lega alla fuga da Troia, e in effetti le date sembrano corrispondere. Gli Achei (Micenei) distruggono la città proprio nello stesso periodo in cui affluiscono questi popoli dall’Asia minore. Ma di più, naturalmente, non è storicamente affermabile. A loro sono attribuite, in età storica, le città di Erice e Segesta. Un giorno, molti anni dopo, questo mito sarebbe stato raccolto nell’Eneide, che narra della morte di Anchise in Sicilia, e i Romani avrebbero accordato a Erice e al suo tempio di Venere un culto e privilegi particolari per questa presunta comune origine con i progenitori dei fondatori di Roma.

Ancora, dal 1.250 a.C., si può parlare di una Tarda Età del Bronzo, in cui le comunità siciliane, organizzate in piccole città e villaggi, sono ormai vere e proprie piccole comunità politiche, non sappiamo se monarchiche od oligarchiche, sebbene i più remoti racconti greci a noi pervenuti ci parlino di veri e propri “re” sicani. Di certo si trattava ormai di civiltà relativamente sviluppate. Fra queste un nome spicca su tutte: Pantalica, vicino Siracusa. Non sappiamo se la migrazione elima abbia a che fare o no con questo salto tecnologico, o se esso debba essere attribuito ad una progressiva evoluzione interna al mondo sicano.

Intorno al 1.050 a.C. anche la Sicilia, come il resto d’Europa, sperimenta l’invasione indoeuropea, qua ad opera di un popolo, i Siculi, che avrebbero poi dato il nome alla stessa nazione siciliana. I Siculi provenivano dalla Penisola italiana e, prima ancora, da quella balcanica e dall’area primordiale di insediamento degli indoeuropei, nella cd. Sarmazia, le vaste pianure oltre il Mar Nero, costituendo certamente la punta più avanzata di quelle stirpi nella loro invasione dell’Europa. Che i Siculi vengano dall’Italia è confermato, per quel che può valere, anche dal mito, che spesso contiene un fondo di verità. Un loro re nell’estrema Calabria, di nome “Italo”, avrebbe dato il nome a quel distretto e poi, per progressiva generalizzazione, all’intera Penisola. Scacciati da altra tribù italica (forse gli Osci) i Siculi approdano in Sicilia. Curioso destino, questo, per cui i Siciliani avrebbero dato ai più numerosi Italiani, tanto il nome del loro stesso Paese quanto, secoli più tardi, attraverso la traduzione in volgare italiano dei primi componimenti in letteratura siciliana, le origini della stessa letteratura italiana. Con i Siculi, come dappertutto con gli ariani, approda in Sicilia l’Età del Ferro. La colonizzazione è massiccia e sostitutiva di precedenti etnie però forse solo nelle Eolie, dove ebbero il nome di Ausoni. Conquistato in pochi anni il Val Demone, i Siculi diventano l’etnia dominante, ma i Sicani, assimilati nella loro lingua, dovevano costituire la maggior parte della popolazione. I villaggi dei Siculi ormai sono vere e proprie città. La Sicilia è già allora organizzata in una rete urbana. La conquista del Val di Noto e di Pantalica da parte dei Siculi è più lenta e sofferta, prendendo circa un secolo (possiamo considerarla iniziata intorno al 950 e conclusa intorno all’850 a.C.). Verso ovest l’ondata sicula si spegne, se dobbiamo dar credito alle storie dei Greci, che già all’interno di Gela parlavano di Sicani e non di Siculi. Ma la penetrazione della cultura sicula (compresa la tecnologia del ferro) e, con ogni probabilità, anche della lingua, prosegue lenta e inarrestabile, anche senza alcun conflitto o spostamento di popolazione. Al punto che, all’arrivo dei Greci, la distinzione tra Sicani, Elimi e Siculi sembra praticamente ormai solo una distinzione tradizionale storica e politica, mentre nei fatti gli indigeni sono talvolta considerati un unico popolo, compatto dal punto di vista culturale e linguistico. Sopravvivono forse alcune “sacche linguistiche” sicane, come sembrerebbe da alcune iscrizioni non decifrate in età storica, ma la loro eccezionalità testimonierebbe piuttosto della loro avvenuta assimilazione.

A contatto con i Greci, i Siculi infatti cominciano a “scrivere” talune iscrizioni che gettano un po’ di luce sulla loro lingua.

Sembrerebbe una lingua “italica antica”, somigliante un po’ al latino più antico, un po’ al greco, quasi anello mancante tra le due, certamente indoeuropea: esemplare al proposito il termine “dono”, in siculo “dorum”, a metà tra il latino “donum” e il greco “dõron”. I Siculi adorano le stesse divinità ctonie dei Sicani, come Adrano, il dio del vulcano Etna, e i suoi presunti figli, i Palìci, due gemelli, considerati dèi dei due laghetti vulcanici presso l’attuale Mineo, poi assurti a protettori della libertà dei Siculi. Su tutto il pantheon sicano-siculo continuava però a regnare una divinità femminile, simbolo e protettrice della fertilità dei campi e della Sicilia stessa, una figura materna – una “bedda matri” si direbbe oggi – che poi i Greci avrebbero identificato con la loro Dèmetra, la quale in Sicilia ebbe culto speciale per moltissimi secoli.

Intorno all’800 a.C. i Fenici (popolo semitico proveniente dall’attuale Libano) inseriscono stabilmente la Sicilia nelle loro rotte commerciali verso l’Occidente, e per questa ragione fondano qua e là piccoli stabilimenti commerciali lungo le sue coste (gli “empori”, come li avrebbero chiamato i Greci).

Alla venuta della grande colonizzazione di massa greca, i Fenici non tentano neanche di resistere. Abbandonano tutti gli empori sulle coste orientali e meridionali e si concentrano su quattro fortezze nell’estremo occidente, perché più difendibili dall’unica colonia di popolamento di Tiro, la grande Cartagine: Mozia (nello Stagnone vicino l’attuale Marsala), Trapani, Panormo (dapprima chiamata Ziz, poi grecizzata anche nel nome), con il suo piccolo avamposto di Sòlunto.

Con la concentrazione, gli empori occidentali diventano piccole città-stato, le quali stringono alleanza tra loro, e con le due città-stato degli Elimi (Segesta ed Erice), e tutte insieme, compresi i villaggi sicani ed elimi dell’interno, si metteranno progressivamente e spontaneamente sotto la protezione della Repubblica di Cartagine. La Sicilia sta entrando così nella storia propriamente detta.

Cronologia:

20.000-10.000 a.C. Paleolitico Superiore

10.000-6.000 a.C. Mesolitico
6.000-3.200 a.C. Neolitico
3.200-2.200 a.C. Eneolitico
2.200-1.450 a.C. Antica Età del Bronzo
1.450-1.250 a.C. Media Età del Bronzo (Sicani)
1.300 a.C. Insediamento degli Elimi
1.250-1.050 a.C. Tarda Età del Bronzo
1.050-750 a.C. Età del Ferro (Insediamento dei Siculi)

800 a.C. Insediamenti punici sulle coste siciliane

 

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