L’Emirato di Sicilia

Capitolo 4: L’Emirato di Sicilia

 

  • 1 – Il primo assalto e la conquista del Val di Mazara

Ma Ziyâdat-Allah non dà molto peso a Eufemio. Per lui è solo una nuova occasione di jihâd, una guerra santa per ampliare i confini dell’islam. In realtà quelli erano già anni di declino per il califfato. Dopo la travolgente avanzata all’epoca dei califfi elettivi e della dinastia degli Omayyadi, questo ormai stava andando in frantumi. La nuova dinastia degli Abbasìdi sposta la capitale da Damasco a Baghdad, muovendo così il centro dell’Impero verso l’area iranica, peraltro incapace di accrescerne i confini. All’estremo occidente un ramo fuggitivo degli Omayyadi si impadronisce della Spagna, non riconoscendo la signorìa di Baghdad (l’Emirato, poi Califfato, di Cordova).

In questo contesto il Nordafrica è affidato ad emiri che, teoricamente, dipendono tutti dal Califfo Abbasìde di Baghdad, ma che in realtà danno luogo a regni indipendenti. Tra questi, gli Aghlabiti di Kairuan, nella cd. Ifrîqiya (Africa), cioè l’odierna Tunisia. Il padre di Ziyâdat-Allah I, con un colpo di stato, aveva rovesciato l’ultimo governatore della lontana dinastia Abbasida, si era fatto riconoscere emiro dai califfi di Baghdad, e poteva ancora sembrare un governatore come gli altri. Ma già quando lascia l’emirato al fratello e predecessore di Ziyâdat-Allah I, si comprende che ormai la Tunisia (allora con capitale Kairuan), è diventata una monarchia ereditaria di fatto indipendente.

In questo contesto la Sicilia quindi sarebbe stata l’ultima conquista degli Arabi, l’unica di fase abbasìde, quando ormai lo slancio della prima espansione si era progressivamente spento. Fu dato il comando della spedizione ad Asad ibn al-Furât, settantenne giurista islamico, già cadì (qâdî in arabo) di Kairuan. Il vecchio commentatore del Corano dà alla spedizione il carattere ideologico di guerra santa. Pare sia stato investito come primo “emiro” della Sicilia; ma a nostro avviso può essere ancora definito solo come capitano della spedizione o capo provvisorio.

A Eufemio sarebbe spettato un ruolo di “imperatore tributario” in caso di successo? Non è dato saperlo. La spedizione araba da subito lo emargina, i suoi progressivamente lo abbandonano, mentre i Siciliani non lo vedono più come un eroe ma come un traditore. Allo sbarco a Mazara (827) è una carneficina, Asad chiede ai sostenitori di Eufemio di stare a guardare, gli Arabi vincono e vi stabiliscono una prima “testa di ponte”. Mazara diventa la città che, più di altre, avrebbe tenuto i rapporti con la madrepatria. Dal nome dei primi governatori (wâlî), sarebbe appunto derivato il nome di “Vallo di Mazara”, con cui sarebbe stata designata tutta la Sicilia al di qua dei due Imera, sovrapponendosi grosso modo alla vecchia “sub-provincia” lilibetana che in contemporanea si dissolve. Abbandonata Lilibeo dai governatori bizantini l’amministrazione collassa. Gli Arabi l’avrebbero ribattezzata di lì a poco “porto di Dio” (Marsâ Allah) o più probabilmente “porto di Alì” (Marsâ ‘Ali), cioè l’attuale Marsala.

Gli inizi sono molto incerti. Nell’828 gli Arabi tentano invano di assediare Siracusa, poi ripiegano nell’interno, guidati da Eufemio che si aggira come un fantasma nei suoi grotteschi abiti imperiali. Morto Asad, i primi Saraceni, che al loro interno avevano un’organizzazione quasi democratica, eleggono un altro capitano, che chiamano genericamente Sâhib, cioè “Signore”. Da Kairuan intanto non arrivano rinforzi. Dopo alcuni scontri presso Mineo e Girgenti e la presa di alcuni castelli, tentano velleitariamente un assedio a Castrogiovanni. Qui i Siciliani, attirato con un inganno Eufemio, fingono sottomissione; tra gli ennesi che si prostrano all’imperatore posticcio due fratelli che lo conoscono o fingono di conoscerlo escono dal gruppo, uno dei due fa segno di abbracciarlo, lo stringe forte a sé in un finto afflato da vecchio amico, mentre l’altro fratello gli pianta un coltello nella nuca. È la fine dell’allucinazione di potere liberare la Sicilia con l’aiuto di nuovi invasori. Da ora in poi gli Arabi non devono neanche tentare una finzione di alleanza con i cristiani di Sicilia, la loro è una semplice guerra di conquista. Le truppe sono in gran parte nordafricane, alcune di stirpe araba, altre di stirpe berbera (queste si sarebbero stabilite per lungo tempo a Girgenti, l’antica Agrigentum). Dopo aver subito alcune sconfitte dal patrizio Teodoto, agli Arabi resta solo l’avamposto di Mazara e un manipolo a Mineo, proprio vicino ai laghetti di Naftìa che erano stati santuario sacro degli dei Palici ai tempi di Ducezio (829).

A questo punto (830) arrivano poderosi rinforzi dall’Africa, ma affluiscono anche molti volontari dalla Spagna islamica. Gli Arabi abbandonano Mineo e dilagano nel Val di Mazara dove occupano castelli e casali, ma soprattutto diffondono il terrore. La svolta decisiva è l’assedio e la conquista di Palermo (831). Poche migliaia di superstiti all’assedio assistono alla valanga saracena. A Palermo si stabilisce una folta colonia islamica che prende a governare la provincia in fase di conquista in modo assai autonomo da Kairuan, anzi quasi da paese indipendente. Alla conquista di Palermo si può dire nasca quindi lo stato arabo-siculo. Kairuan invia un emiro di stirpe regale (832): Abû Fihr, cugino di Ziyâdat Allah, poi sostituito tre anni dopo dal fratello Ibrahim (più correttamente “Ibrâhîm” in arabo), dopo essere stato ucciso il primo per una congiura di palazzo. Ibrahim si dimostra buon governatore. Diede buoni ordinamenti al nuovo Stato, diresse le operazioni di terra e di mare, entrambe militari e di saccheggio, senza mai aver bisogno di uscire dal Castello di Palermo, da loro chiamato Qasr, da cui il nuovo nome per la cittadella romano-punica da loro occupata (oggi Cassaro). Palermo cresceva, al di là dei due fiumi che la circondavano, diventando una vera capitale. Non era nato quindi solo lo Stato arabo di Sicilia, ma anche Palermo capitale, la quale, se lo è ancora oggi, lo deve a questa scelta dei nuovi conquistatori, mentre Siracusa andava declinando, man mano che la Sicilia greca si contraeva.

Teoricamente l’Emirato di Sicilia era un emirato “vassallo” (se questo termine può essere usato in ambito islamico), la cui investitura spettava ai principali emiri di Kairuan. In realtà però né l’amministrazione fiscale, né quella militare furono quasi mai integrate tra Sicilia e Africa. La sudditanza feudale si traduceva soltanto nell’investitura, in alcuni doni mandati a Kairuan e nella promessa all’occorrenza di aiuti militari. Molto spesso, ancora, l’assemblea dei coloni (o dei maggiorenti tra questi), la potente gemaa di Palermo (“jamâa” più correttamente in arabo), eleggeva l’Emiro, poi soltanto ratificato dagli Aghlabiti senza alcun’altra intromissione.

In soli 10 anni tutto il territorio che va da Mazara ai fiumi Imera e Salso è strappato ai Greci (831-841). Durante questo periodo muore l’emiro di Kairuan che aveva voluto la spedizione (Ziyâdat Allah, nell’838); i suoi successori si disinteressano della colonia siciliana. I metodi di conquista consistono nel partire con i saccheggi del territorio, incendio dei campi e dei raccolti e distruzione di tutte quelle che oggi chiameremmo le “infrastrutture” (mulini, frantoi), mentre i Greco-siculi si rinserravano nelle città. Seguivano assedi e, dopo la vittoria, uccisioni sommarie, stupri, riduzioni in schiavitù. In una parola il terrore. I cristiani arresi più fortunati diventavano “dhimmi”, al pari degli ebrei, cioè “umiliati”, cittadini di serie B che a stento mantenevano la libertà personale e un diritto di culto semiclandestino.

Lo Stato siculo-arabo prende a battere moneta nel nome degli emiri di Kairuan, ma anche di quelli locali. La monetazione si inserisce in quella superstite bizantina di Siracusa, sempre più inflazionata, ibridandola con quella ufficiale islamica, attribuita ad epoca Omayyade, incentrata su dinar aurei, dirham argentei, e per gli usi divisionali i fuls di rame, ponendo le più lontane basi di quello che, dopo la conquista normanna, sarebbe diventato il sistema monetario siciliano moderno.

Altro elemento importante di questo Stato è la flotta. A Palermo i Saraceni costruiscono una flotta con la quale infestano il Tirreno, lo Ionio, l’Adriatico, dando manforte agli avamposti di pirati saraceni stabiliti in Italia, soprattutto al Sud. In questo quadro stipulano un’alleanza con Andrea, console di Napoli, aiutandolo a liberarsi del tributo dovuto al Ducato di Benevento (836). L’alleanza tra Siculo-arabi e Napoletani durerà, con fasi alterne, circa mezzo secolo. Già due anni dopo troviamo la flotta siciliana solcare l’Adriatico, fino quasi a Venezia, ancora non assurta alla grande potenza dei secoli successivi. I pirati Saraceni occupano Taranto (839), più altri presidi sulla costa calabrese.

Il Governo di Siracusa non riesce in Sicilia ad opporre una valida resistenza se non quella di resistere sull’asse Castrogiovanni- Madonie, con la fortificazione di vari centri, sotto il controllo della città di Castrogiovanni, dove ha sede un comandante che guarda la frontiera, ma non può impedire i saccheggi e il terrore islamico.

  • 2 – La difficile conquista del Val di Noto

Negli anni ’40 l’avanzata degli arabi si fa più lenta. Le immigrazioni dai quattro angoli dell’Islam (Spagna, Afghanistan, Africa, Arabia) rallentano sino a spegnersi. Ora sono gli stessi musulmani di Sicilia (sia di origine esterna, sia i primi convertiti autoctoni) a pressare contro la parte greca dell’Isola. Trovando inespugnabile il nord, spingono a sud verso il Val Di Noto.

Dopo una serie di spedizioni navali vittoriose sulla costa settentrionale e sulle Eolie, gli Arabi prendono però Messina (843). La città, tuttavia, saldamente in terra greca, non è mantenuta a lungo. Gli abitanti si rifugiano all’interno, dove costruiscono una rocca più facilmente difendibile, chiamata “Rometta” (cioè città dei “Romaioi” o “Romei”, ovvero Romani, come i bizantini, anche siciliani, chiamavano sé stessi). Messina resta disabitata, o appena con funzioni di porto-emporio per gli abitanti più sicuramente asserragliati a Rometta.

Più duratura sarebbe stata la conquista di Alimena, nello stesso anno, segno che sulle Madonie si era ora attestata la difesa bizantina. Ma è verso sud, dove non ci sono difese naturali, che gli Arabi sfondano più facilmente, incontrando tuttavia una resistenza imperiale formidabile. Le città devono essere espugnate una ad una: nell’845 tocca a Modica, nell’847 a Lentini, nell’848 a Ragusa. Nel frattempo la flotta siculo-araba assalta l’Italia meridionale. Nell’846 occupa Ponza, in spregio agli accordi con Napoli, ma poi ne sono scacciati. Sbarcano a Ostia e saccheggiano Roma, persino la Chiesa di San Pietro, allora fuori dalle mura. I “Siciliani” sono ora visti nel mondo cattolico come un vero flagello di Dio. I ducati campani, compresa la stessa Napoli, comprendono il pericolo e, in uno sforzo congiunto, arrestano una seconda spedizione, in una battaglia navale ad Ostia (849), in cui i Siculo-arabi sono sconfitti. Dopo la morte di Ibrahim, gli emiri sono eletti dalla colonia e appena appena investiti dai distratti Aghlabiti di Kairuan. Non cambiano i metodi: distruzione di colture, prigionieri, uccisioni, con una campagna ogni anno nella metà Sicilia controllata ancora dall’Impero Romano d’Oriente. Cade Camarina (852), poi Butera (853), dove più di 5.000 abitanti sono ridotti in schiavitù; nell’857 tocca a Gagliano e Cefalù.

Nell’859 riescono, secondo i racconti tramandati, risalendo le fognature, a entrare nell’inespugnabile Castrogiovanni (Enna), e quindi a rimuovere il più importante ostacolo alla loro conquista dell’Isola. Dopo, è praticamente subito assedio della vecchia capitale Siracusa, ormai priva di quel prezioso avamposto.

I Siciliani cominciano a reagire, si ribellano e prendono come possono le armi, ma non sono aiutati dall’Impero in modo efficace. Le sollevazioni furono piegate dagli Arabi nell’860, fra episodi di vero eroismo, guidati dalla propaganda di un frate assai poco contemplativo: Elia di Castrogiovanni, apostolo della resistenza siciliana contro gli invasori. Molti fuggono dalla Sicilia, chi nella Calabria, chi nel Salento, allora ancora saldamente in mani bizantine, chi nel Val Demone, ancora ben difeso. La penetrazione araba in Val di Noto è però già meno impetuosa che quella del primo assalto nel Val di Mazara, sia per velocità di conquista, sia per numero di colonizzatori.

Nell’862 Kairuan si fa sentire di nuovo: non approva l’elezione di ‘Abd Allah, figlio del primo emiro elettivo e nipote del fratello, appena deposto. Teme forse che gli emiri elettivi costituiscano una vera dinastia parallela, e invia Khafaja nella turbolenta colonia. Mentre gli Arabi litigavano tra di loro, i bizantini, riorganizzati da Basilio il Macedone, avevano riguadagnato posizioni. Toccherà a Khafaja riprendere l’offensiva. Prendono Noto (864), poco dopo Scicli. Ma il Val di Noto non si presenta una conquista facile: Noto si ribella, ed è necessaria una seconda spedizione (866) per domare loro e la stessa Ragusa, che nel frattempo aveva pure scosso il giogo. Alla morte di Khafaja la colonia elegge Muhammad, suo figlio, cui si deve un colpo di mano che strappa Malta ai Greci. Ma poco dopo, nell’ennesima congiura di palazzo, questi perde la vita, aprendosi quindi un periodo convulso di emiri nominati da Kairuan, morti presto in condizioni misteriose, sostituiti da altri emiri, anche loro dalla vita breve. La litigiosità tra bande si rivela già il limite principale dei nuovi arrivati.

In Italia intanto finiva il periodo d’oro per i Saraceni, che per qualche tempo avevano addirittura tenuto a Bari un sultano. Le armi congiunte dei Longobardi del Sud e dell’Imperatore carolingio (uno degli ultimi di questa dinastia) Lodovico, ne ridimensionano di molto gli insediamenti, siciliani e non, con conseguente riparo in Sicilia dei fuggitivi.

Dopo questo periodo convulso, la svolta arriva nell’877. Un emiro di polso, anzi un vero tiranno, Ibrahim II (il primo era stato il fondatore della dinastia), aveva preso da qualche anno il potere a Kairuan, e nomina per la Sicilia un emiro Ja’far (in omaggio alla tradizione storiografica, soprattutto per i più celebri successivi re arabo-siculi, useremo la traslitterazione italiana di “Giafar”), il quale si scaglia subito, con nuove forze fresche, all’assedio di Siracusa, comprendendo che, finché i bizantini avevano un patrizio a Siracusa, a nulla sarebbe valso prendere questa o quella fortezza. Siracusa resiste come può e finché può. Alla fine, nell’878, dopo episodi strazianti di fame all’interno delle mura, deve arrendersi. Una flotta bizantina è mandata in aiuto, ma quando arriva già la città è in mano araba. Sulle prime gli Arabi distruggono tutto, e per ricostruire un’amministrazione nella parte orientale fanno base su Noto (da qui il nome del secondo “Vallo”, dopo quello di Mazara). I Bizantini si rifugiano a nord-est nel Val Demone, facendo ora Taormina capitale provinciale, migliore della meno difendibile Catania. Con loro è fuga di massa della popolazione cristiana che non vuole essere presa prigioniera o diventare “dhimmi”. Il Val di Noto a lungo resta poco popolato, tanto di cristiani quanto di musulmani.

Non doveva essere tranquilla la vita a corte a Palermo se, lo stesso anno della presa di Siracusa, Giafar è ucciso in una congiura e sostituito da un emiro elettivo (un certo Rabâh, che era stato emiro qualche anno prima). Non manca la reazione dei Greco-siculi, tanto dalla flotta bizantina per mare, con la ripresa delle Madonie e il loro afforzamento, quanto della popolazione, sempre aizzata dall’ottuagenario Elia di Castrogiovanni. Ibn Rabâh, a torto o ragione considerato responsabile dei rovesci, fa la brutta fine del predecessore. Anche il suo successore Hasan è sconfitto, a Caltavuturo, e viene deposto. E così pure Muhammad ibn Fadhl, dopo di lui, anche se era riuscito ad espugnare Polizzi.

I bizantini si ritirano però nella cuspide tra Messina e Catania, lasciando in pratica che i municipi cristiani del Valdemone si difendano da soli.

  • 3 – Gli ultimi Aghlabiti espugnano il Valdemone che però resta cristiano e greco

Di fronte all’ingovernabilità dell’emirato di Sicilia, Ibrahim pensa che una soluzione sia quella di mandare come emiro Sawâda (885), figlio di quel Muhammed che era stato ucciso e nipote di quel Khafaja che aveva pacificato la Sicilia più di vent’anni prima. Per qualche tempo funzionò. Ma poi scoppiò una seria contesa, anzi una vera propria guerra civile tra le due stirpi che avevano condotto la campagna di Sicilia: gli Arabi, che avevano a Palermo la loro sede principale, e i Berberi, che invece si erano concentrati su Girgenti. Gli Arabi lo depongono e lo rispediscono in Africa, ma Ibrahim lo impone nuovamente aiutando Palermo a domare la rivolta berbera. Seguono altri disordini. I Siqîlliyyun (gli Arabi di Sicilia) per la prima volta non riconoscono il governo di Ibrahim e il suo governatore, tranne forse a Mazara, e la Sicilia piomba nell’anarchia, guidata in qualche modo dalla gemaa di Palermo. Con i cristiani è obbligatoria una tregua (895).

In pratica, con la conquista di Siracusa, lo slancio della conquista si era arrestato quasi del tutto. Il Val Demone è ora difeso non solo dalle armi imperiali ma anche dai Siciliani stessi che hanno imparato a difendersi da soli.

L’Emiro Ibrahim aveva trascorso i primi anni del suo regno a rinsaldare il suo dominio in Africa. Una volta assicurato lì il potere, si volge spietatamente verso la Sicilia riconducendola all’obbedienza, e riprendendo la guerra santa contro il Valdemone (898). L’emiro nominato da Ibrahim, forse per la prima volta, più che un sovrano vassallo è ora davvero un semplice governatore.

Ma ormai i Siciliani (o Siculo-Arabi) mal soffrivano le ingerenze africane e, allontanato l’emiro, eleggono un emiro indipendente, il persiano Rakamuweih (899). Ibrahim deve mandare il figlio ‘Abd Allah per piegare Palermo, mentre nel Val Demone i Cristiani provano a rialzare la testa.

‘Abd Allah piega a forza la resistenza cristiana, varca lo Stretto, espugna Reggio (902) ma poi torna indietro, preso per pusillanime dal padre che lo richiama in Africa.

Qui Ibrahim II abdica, gli lascia l’emirato, e questi a sua volta affida l’emirato vassallo di Sicilia al figlio Ziyâdat Allah II. Ibrahim parte quindi per la guerra santa in Sicilia. Rovista il Val Demone, costringendo le principali città siciliane al tributo. Assedia infine Taormina, che cade nel 902, ultima fortezza bizantina. Le altre città, da Catania a Messina, aprono le porte agli Arabi, ormai indifese. Varca lo Stretto, ma muore alle porte di Cosenza.

Nel 902 con la caduta di Taormina le armi imperiali abbandonano la Sicilia; la stessa Calabria greca paga un tributo per non essere assaltata. Le città greco-sicule dell’interno del Val Demone accettano parimenti di pagare un tributo agli Arabi per mantenere un minimo di autogoverno e non essere invase. Teoricamente tutta la Sicilia è finalmente conquistata. Ed è quanto meno una curiosità della storia il fatto che i Greci siano usciti di scena praticamente nello stesso punto in cui erano entrati nel 734 a.C. con la fondazione della prima colonia.

  • 4 – La rivoluzione politica e religiosa dei Fatimìdi

Gli inizi del X secolo vedranno nel frattempo una trasformazione politica, nel mondo arabo, che avrebbe avuto una pesante influenza sulla storia siciliana.

Da un lato l’emirato di Kairuan era dilaniato da guerre interne. Lo stesso Ziyâdat Allah II si era macchiato di parricidio, per succedere al padre ‘Abd Allah. Ma la rovina degli Aghlabiti sarebbe stata dovuta ad un motivo confessionale.

In Nordafrica, infatti, una rivoluzione religiosa avrebbe portato una setta sciita (da cui derivano gli attuali Drusi) guidata da un predicatore-guerriero, “Ubayd Allâh al-Mahdî” (brevemente, il “Mahdi”), a soppiantare la confessione sunnita fedele agli Abbasìdi di Baghdad. I nuovi sovrani, i Fatimìdi, presunti discendenti di Fatima, figlia del Profeta, conquistano tutto il Nordafrica, proclamano sé stessi califfi (in concorrenza con Baghdad, quindi, e con i califfi di Cordova, non semplici emiri) e fondano sulla costa tunisina una nuova capitale, Mahdiyya (di cui manterremo l’esonimo italiano “Mahdìa”).

Questa rivoluzione religiosa, naturalmente, approderà in Sicilia, dove nel 909 si assiste quindi a un cambio di dinastia dai sunniti Aghlabiti agli sciiti Fatimidi.

Nella realtà sulle prime non cambia molto. La Sicilia resta un emirato elettivo feudatario dell’Africa, e anche l’Islam siciliano è considerato dagli arabi stessi poco “ortodosso”, intriso com’è da persistenze cristiane, quando non addirittura pagane.

I cristiani approfittano della confusione per riprendersi le rocche del Val Demone, o per non pagare più tributo, ma senza più alcun aiuto dall’Impero d’Oriente, che ora non osa andare al di là della Calabria, pure nominalmente da loro chiamata “Sicilia”.

Sulle prime il Mahdi (909) fa finta di accettare la sudditanza di Abu Fawâris, che aveva deposto l’ultimo emiro di Sicilia fedele agli Aghlabiti, nella speranza di essere lasciato semi-indipendente. Ma l’anno dopo lo invita in Africa, dove è messo in carcere e sostituito da emiri nominati dal Mahdi, strettamente controllati dallo stesso. Non tutti i Siqilli gradiscono questa sudditanza, e ancora una volta tentano la strada dell’indipendenza. I maggiorenti siciliani pregano Ibn Qurhub di accettare la carica di Emiro (912). Ibn Qurhub rifiuta, si rifugia in una grotta, ma i Siciliani lo vanno a prendere, lo esaltano emiro, e questa volta l’emiro di Sicilia si proclama fedele teoricamente al lontano Califfo sunnita di Baghdad, anziché a quello vicino di Mahdìa.

I cristiani di Sicilia nel frattempo riprendono Taormina. Ibn Qurhub sconfigge (914) con la flotta siciliana la flotta africana.

Ma dopo un naufragio gran parte della flotta siciliana è persa. Per difendere la Sicilia a quel punto sarebbero serviti sacrifici, nuovi arruolamenti, e soprattutto nuove tasse per mettere in piedi nuovamente la flotta. E qui i Siciliani, gli stessi che lo avevano pregato, quasi costretto, ad accettare la carica, voltarono le spalle all’emiro separatista. Quando (916) questi capì che non c’era possibilità di resistere e tentò la fuga, la sua nave fu bloccata a Mondello, vicino Palermo (allora “porto fangoso”) e, per sommo dell’ingiuria, i ribelli lo spediscono in Africa dove è orrendamente torturato, mutilato e ucciso.

I Siciliani che avevano spedito Ibn Qurhub in Africa avevano mandato nell’ambasceria proposte al Mahdi, pensando di averne una sorta di quasi indipendenza, o comunque una fedeltà nominale, prospettando una desiderata anarchia di fatto.

Il Mahdi manda invece il generale Abu Said, per far comprendere che con i Fatimidi la musica era cambiata. I Berberi sono sconfitti ad Agrigento, poi è assediata e presa Palermo. L’emirato ora diventa un governatorato strettamente dipendente dall’Africa, con il compito di occuparsi solo dell’ordine pubblico, mentre l’azienda pubblica e la guerra sono accentrate a Mahdìa.

Uno di questi governatori, Abu ‘Abbâs Khalîl, nominato da Qaim (al-Qâhim), successore del Mahdi, fonda una vera e propria capitale nuova vicino all’arsenale, chiamandola Al Khâlisa, l’odierno quartiere palermitano della Kalsa. Quando, nel 940, ogni agitazione fu domata, fu persino soppressa la carica di emiro e i Fatimidi tentarono di governare la Sicilia direttamente da Mahdìa, per spegnere ogni tentazione indipendentista dei Siqilli.

  • 5 – L’emirato ereditario dei Kalbiti

Il tentativo, però, fallì clamorosamente. La Sicilia piombò nel caos amministrativo e militare.
Sarà il successore di Qaim, Mansur (al-Mansûr), il terzo califfo fatimida, ad infeudare pertanto la Sicilia ad un esponente di una famiglia molto fidata, tale Hasan, figlio di un certo Alì (‘Ali) della tribù dei Banu Kalb, una delle più antiche tribù sudarabiche (discendenti da Kalb ibn Wabara) che si era distinto ed era morto ad Agrigento per domare i Berberi, sotto il califfato di Qaim.

Con Hasan I (948-965) si considera quindi iniziata la dinastia dei Kalbiti, cioè dell’emirato indipendente di Sicilia. Questa “visione” però non è del tutto corretta. All’inizio Hasan era soltanto un governatore della Sicilia come i predecessori, senza alcuna delega di poteri particolari che non fosse una delega di fatto, né c’era alcuna concessione “ereditaria” dell’emirato. Sarà la sua bravura che, in meno di vent’anni, trasformerà un fragile governo estero, guardato con sospetto dai locali, in una radicata signoria familiare, che nemmeno più i califfi fatimidi potevano scalfire. Ad esempio, nel 950, Mansur manda una flotta in aiuto ad Hasan, poiché i Bizantini erano sbarcati ad Otranto e minacciavano una “reconquista”, segno che Hasan era ancora tutt’al più un vassallo di Mansur.

Dopo un’altra spedizione si arrivò a una tregua (952), con la quale i Bizantini accettavano di pagare il tributo per la Calabria, ed accordavano libertà di culto a una piccola comunità musulmana che Hasan fece insediare a Reggio Calabria, con una loro moschea. Un passo avanti fa Hasan nel 953 quando, morto Mansur, si presenta in Africa, dove è investito dal nuovo califfo Moezz (al-Mu’izz), il quale gli accorda la successione per il figlio Ahmad, in caso di morte. Non era l’ereditarietà per diritto, ma nel fatto il processo era avviato. Moezz aveva bisogno di aiuto dalla Sicilia per sfondare a est nella conquista dell’Egitto. Intanto la flotta siciliana aiuta i suoi signori, sconfiggendo una flotta omayyade (arabo-spagnola).

Nel 956 i Bizantini rompono la tregua, distruggono la moschea di Reggio e invadono la Sicilia, occupando per qualche tempo Termini, a pochi passi da Palermo. Una controffensiva arabo-sicula riporta nel 958 il confine sullo Stretto.

Questa volta è Hasan che chiede aiuto all’Africa (961) per piegare il Val Demone, sul quale il dominio arabo era ancora puramente teorico. Nel 962 cade la nuova Taormina, ribatezzata ora Moezzia. Tutti i municipi cristiani si piegano al tributo, tranne Rometta. Siracusa, debolmente popolata da cristiani che si erano insediati tra le rovine lasciate tra Ortigia e Acradina dopo il disastro dell’878, viene ripopolata dagli Arabi, dopo essere ripresa ai Greci, che, più forti nel mare, avevano preso negli anni alcuni avamposti (Termini, Lentini, Taormina, Messina, e appunto Siracusa).

Cacciati i Greci, Hasan si volse a piegare l’indomita Rometta. Questa chiede aiuto all’imperatore Niceforo Foca che invia un esercito. Dopo una battaglia vittoriosa, la notizia della sconfitta degli imperiali fa letteralmente “morire” di gioia Hasan, che perde la vita per un infarto (965). I Greci si ritirano di nuovo a Reggio, accettando di pagare il tributo per la Calabria.

Il figlio Ahmad I, ormai emiro, continua l’assedio di Rometta, fino alla sua inevitabile resa (965).
Moezz ha paura della troppa potenza e indipendenza degli emiri siciliani, e per sottolineare la loro dipendenza ordina la distruzione delle fortezze di Taormina e Rometta, richiamando Ahmad I in Africa. Questi obbedisce da vero vassallo, e viene fatto ammiraglio. Tenta quindi di nominare un emiro qualunque, come ai bei tempi in cui la Sicilia era un’appendice della Tunisia. Ma i Siciliani prendono le armi. Moezz non ha altra scelta che accettare il fatto compiuto e nominare emiro il fratello di Ahmad, Abu ’l-Qâsim, che parte per la Sicilia e si impossessa del nuovo Stato.

Non ci sono quindi grandi contese con l’Impero, perché Costantinopoli e Mahdìa ora sono alleate. Moezz entra in Egitto, che diventa la base del suo dominio. Nel 972 trasferisce la capitale da Mahdìa al Cairo, la nuova metropoli fondata dal siciliano Jawhar al Siqilli. La provincia di Africa (Tunisia) è affidata agli Ziriti; la presa sulla Sicilia fatalmente si allenta.

Con Abu ’l-Qâsim (970-982) ogni influenza dal Nordafrica, ancora presente con i primi due emiri Kalbiti, cessa quindi del tutto e la Sicilia si ritrova stabilmente, per la prima volta da millenni, ad avere di fatto uno stato indipendente. Il viaggiatore Ibn Hawkal, passato dalla Sicilia in questi anni, chiama l’emiro “Sultano”, cioè non più principe subalterno come gli “Emiri” precedenti ma vero sovrano assoluto, ancorché solo di fatto.

Ma l’Emirato di Sicilia, a differenza delle monarchie orientali, non è assoluto al suo interno. Il principe deve fare i conti con l’aristocrazia palermitana, discendente dai primi coloni, in grado di contrastarne seriamente il potere.

Nel 976 sventa un attacco congiunto bizantino e pisano e insegue i nemici fino a Cosenza, poi ricostruisce il castello di Rometta. Abu ’l-Qâsim si trovò a lottare anche contro Ottone II sceso in Calabria, al fianco dei Greci, pur senza formale alleanza con questi. A Stilo però i tedeschi uccisero l’emiro (982). Il potere passa quindi al figlio Jâbir (traslitteriamo “Giaber”).

Nel 983 l’Emiro Giaber è deposto, e i Siciliani chiedono al Cairo di inviare un altro emiro, della stessa famiglia dei Kalbiti, ma di un altro ramo, cugino alla larga di Giaber (il nonno del nuovo emiro era fratello o cugino del capostipite Hasan I).

A Giafar I (983-85), pacifico e amante degli studi, già cortigiano al Cairo, e ad ‘Abd Allah (985-89), suo fratello, di cui poco si sa se non che anche il suo fu un governo relativamente pacifico, segue Yusuf (989-997), figlio di quest’ultimo. In verità al 986 erano già riprese le ostilità navali coi Greci e coi Veneziani, ma ora anche contro l’emergente potenza dei Pisani.

Con Yusuf l’Emirato di Sicilia raggiunge forse la massima potenza. La flotta siciliana è ora una delle più temute del Mediterraneo. Yusuf si dota persino di un Visir (Ministro) e di un Hâjib (Ciambellano), come un vero sovrano e non più come un governatore provinciale.

Una tetraplegia, però, costringe Yusuf ad abdicare a favore del figlio Giafar II. Con la monarchia kalbita, nel complesso, la Sicilia stava cambiando pelle. Finita l’epoca delle razzie e delle stragi, ormai le comunità cristiana e musulmana in qualche modo convivevano tra loro, naturalmente sotto il dominio della sharia e quindi con il predominio della seconda sulla prima. Ma le persone ormai erano rispettate, e anche le proprietà. I tre valli, conquistati in epoche differenti, avevano strutture demografiche e socio-economiche diverse. Il Vallo di Mazara vedeva una piccola comunità cristiana silente, appena più numerosa di quella sparuta del Nordafrica, circondata da un mare di musulmani, fossero questi immigrati o “Siqilli” convertiti. Il Val di Noto oggetto di colonizzazioni islamiche dal Val di Mazara, per ripopolarlo, ma con una popolazione mista, cristiana e musulmana. Il Val Demone con piccoli presidi saraceni a vigilanza di una società rimasta cristiana di religione e greca di lingua, con alcune città che si limitavano a pagare il tributo ai musulmani.

A proposito di lingue, naturalmente l’arabo era la lingua franca con la quale s’intendevano i musulmani tra loro, venissero dalla Spagna o dall’Afganistan, dall’Arabia, dalla Siria, dall’Egitto o dal Maghreb, senza farsi mancare persino popolazione nera africana. Forse solo la comunità berbera, più compatta su Girgenti, riuscì a mantenere una lingua propria. La presenza di siciliani convertiti, molti certamente di dialetto siculo-romanzo, ma anche siculo-ellenico, determinò una inevitabile storpiatura dell’arabo classico. Dovette esistere, in un paio di secoli di stanziamento, un vero e proprio arabo-siculo, che poi oggi sarebbe sopravvissuto solo nel moderno maltese, oltre che in forti tracce del dialetto pantesco (e in un 15/20 % del patrimonio lessicale del siciliano, ma nell’ambito di una lingua restata neolatina). L’altra Sicilia restò greca, di lingua e religione. A parte stavano gli ebrei, che dovettero molto rinforzarsi in quest’epoca, e che – se dobbiamo stare alla famosa stele quadrilingue di qualche secolo dopo, oggi esposta alla Zisa di Palermo – parlavano un dialetto arabo-ebraico. La linguistica moderna attesta che non può essere scomparso del tutto l’idioma post-latino dalla Sicilia, sebbene di esso non ci sia pervenuta alcuna traccia. Immaginiamo che quello sopravvissuto in Val di Mazara a secoli di grecizzazione, era ora sottoposto all’arabizzazione, ma non ci fu il tempo di farlo scomparire del tutto prima che arrivassero i Normanni a rivitalizzarlo. I latini furono in gran parte costretti a convertirsi o ebbero convenienza a farlo, ma qualcuno perseverò nella fede cristiana di rito greco. Sul finire della signoria islamica in Sicilia c’era solo un vescovo, riparato a Palermo sotto la protezione dell’Emiro, al posto delle 16 diocesi di epoca bizantina.

A proposito, ancora, di parole arabe transitate nella lingua siciliana, molte di queste riguardano l’agricoltura. Non è errato dire che questa ricevette molte attenzioni in questo periodo e che fu fiorente, specialmente nell’ultimo periodo. La Sicilia fu inondata di genti che venivano da tre continenti, e queste portavano con sé colture e culture che attecchirono felicemente, assumendo però in Sicilia un carattere particolare. Il rimescolamento delle proprietà accelerò la frammentazione del latifondo già in atto dal precedente periodo. Se gli insediamenti “greci” favorivano (come tutt’oggi nella vicina Calabria e nel Messinese) i piccoli e piccolissimi borghi, castelli, rocche, gli arabi favorirono una colonizzazione delle campagne con popolazione rurale sparsa (quelli che poi, in età successiva, sarebbero stati i “villani”) con la diffusione di varie forme di sostanziale servitù agraria, mentre la schiavitù continuava a prosperare solo nelle città, ma in declino dopo le guerre di conquista e gli atti di pirateria. Abbondavano i liberti, molti di origine cristiana.

Attenuatesi le guerre, infine, l’emirato ereditario portò la cultura e la letteratura. Dopo un secolo e mezzo di sangue, in cui l’islam produsse solo giurisprudenza religiosa, o quasi, e dove la parte greca continuò la propria letteratura, ormai anch’essa quasi esclusivamente religiosa, sotto i Kalbiti la letteratura greca praticamente si spegne, mentre quella araba sta per decollare. A Palermo fiorisce una poesia cortese, sul modello orientale, anche se i migliori frutti arriveranno solo quando ormai la Sicilia araba era in rovina per l’avanzata dei Normanni.

  • 6 – Il Regno Arabo-Siculo e la sua dissoluzione

Giafar II (997-1019), non contento del titolo di Emiro, rispolvera il titolo antico di Re (Malik in arabo), considerato più appropriato per la Sicilia, forse memore del fatto che la Sicilia era stata un regno nell’Antichità. Da questo momento il legame con Il Cairo, anche formalmente, è solo di tipo religioso. Giafar II non amava tanto i combattimenti quanto godersi pacificamente la reggia di Palermo. Fece costruire il castello di Maredolce, come residenza di villeggiatura regale. Punì però una ribellione berbera (1015) con la cacciata di tutti i Berberi dall’Isola. A questo punto, però, la componente siciliana convertita, cominciò a essere prevalente e minacciosa contro l’élite araba di cui faceva parte lo stesso emiro. Il suo visir Hasan ibn Muhammad inasprì la tassazione fuori dalla tradizione e senza tener conto del volere degli aristocratici (qaid e sceicchi locali), e questo rese molto impopolare Giafar. Nel 1019 una rivolta di nobili e plebei a Palermo assalta il Palazzo. Comparso in lettiga il vecchio emiro Yusuf, il popolo ne ha pietà, e accetta di salvare la vita a Giafar in cambio della sostituzione con il fratello Ahmad. Visir e ciambellano invece furono uccisi senza pietà. Yusuf e Giafar II, ad ogni buon conto, riparano in Egitto.

Ahmad II al-Akhal si fece dare dal califfo del Cairo il titolo di “Sostegno dell’Impero”, ma ormai più aumentavano i titoli più aumentava la debolezza della dinastia. Nel 1026 furono cacciati dai Greci gli avamposti sulla costa calabrese utili per prendere il tributo da quella regione. Ahmad chiese l’aiuto degli Ziriti d’Africa che già avevano preso di mira la Sicilia, e si consideravano anche loro indipendenti dai califfi fatimidi, e insieme si diedero alla pirateria. Le iniquità svolte in sua assenza, durante queste campagne, dal figlio Giafar (sarebbe stato il III se fosse riuscito ad arrivare al trono) e i tentativi di mettere contro “africani” e “siciliani” tra loro gettarono il Regno siculo-arabo nello scompiglio.

Questo Stato era stato fondato all’origine su un’economia di guerra e di rapina. Poteva fiorire sinché c’erano continui afflussi di guerrieri disposti a spendersi in una guerra santa. Con la maturità del dominio questi divennero un’aristocrazia africana su una popolazione siciliana malamente convertita in Val di Mazara e su una popolazione cristiana soggetta a est. L’assottigliamento dell’aristocrazia e il ricorso ai mercenari determinava il progressivo esaurirsi della spinta espansiva. Hasan I aveva dato il primo colpo facendosi acclamare dal popolo di Palermo ed esautorando i potenti aristocratici. Poi Ahmad I li aveva imbrigliati legandoli alla corte emirale. Dopo Abu ’l-Qâsim li aveva decimati nelle campagne di Calabria. Sotto gli ultimi emiri molti di loro si erano infine trasformati in letterati e cortigiani gaudenti, incapaci di rischiare la vita per qualsiasi ragione.

A un certo punto Ahmad II tra questi due partiti, sceglie di allearsi con gli “africani”, assottigliata, ma ancora potente fazione, contro i “siciliani”, poveri ma numerosi, e raddoppia le tasse in un colpo solo, nel 1031. Nel 1034 la tensione conduce ad una guerra civile in cui il fratello Abu Hafs si appoggia ai “siciliani”. Al-Akhal si butta tra le braccia dell’Impero Romano d’Oriente che lo nomina “Maestro” e gli promette l’esercito del grande Maniace. Per i musulmani questa sudditanza a un re cristiano è una vergogna. Gli Ziriti invadono la Sicilia ma sono respinti da al-Akhal con l’aiuto dei bizantini. Ma poi questi si ritirano a Reggio e al-Akhal, rimasto indifeso, viene ucciso (1037). Mentre ‘Abd Allah, figlio dell’emiro Zirita di Mahdìa, era restato in pratica padrone dell’Isola, gli piomba addosso l’esercito greco di Giorgio Maniace che quasi riconquista in un colpo solo la Sicilia.

Giorgio Maniace fu uno dei più grandi generali che ebbe l’Impero bizantino. Con una serie di fortunate campagne, in soli due anni (1038-40), riconquista più di mezza Sicilia. I cristiani esultano al vedere le bandiere con l’acronimo ICXCNA (Iesùs Christòs Nikâ, cioè “Gesù Cristo vince”), pensavano fosse finita l’era della tirannia musulmana, ma si ingannavano, almeno di poco tempo. Tra i soldati di Maniace, per la prima volta, alcuni valenti mercenari normanni, guidati da Guglielmo Altavilla, detto “Braccio di Ferro”. I sospetti della corte fanno richiamare a Costantinopoli e mettere in carcere il Maniace, che poco prima per troppa avarizia si era fatto scappare i determinanti mercenari normanni. Naturale che ci fosse una riscossa araba. Cacciati gli Ziriti (1040), la colonia acclama emiro-re un fratello di Ahmad II al-Akhal, tale Hasan II al-Samsan, messo però sotto tutela dalla potente gemaa palermitana. Nonostante il caos in atto in ambito arabo-siculo, l’imperizia dei successori di Maniace è tale che in soli due anni, alla fine del 1042, i Greci sono ridotti a Messina, che si arrende solo qualche anno o qualche mese dopo.
È questo un periodo di crisi del mondo islamico a tutti i livelli. Come altrove, anche il regno siciliano si sfalda tra piccoli signori locali, talvolta chiamati “emiri”, tal altra solo “qâ‘id” (signore). Un certo Ibn Mankût diventa signore di Trapani, Marsala, Mazara e Sciacca. Un certo Ibn al-Hawwâs, di origini berbere, si impadronisce di Castrogiovanni e della Sicilia centrale. Tale Ibn al- Maklatî, a Catania, è nominalmente fedele a Palermo, come i presidi del Val Demone, ma solo di nome.

Nel 1052 il debole Hasan II al-Samsan, ultimo kalbita, è deposto, e i palermitani tentano la strada della “Repubblica islamica” dando il potere alla potente cricca degli aristocratici della gemaa, senza più altre mediazioni. Riescono ad avere ragione su ibn Mankût di Trapani, dividendone i possedimenti con Ibn al-Hawwâs, ma il caos regna ormai sovrano in tutta la Sicilia araba.

Intorno al 1053, un qa‘id, di nome Ibn Thumna, si impossessa di Siracusa. Questi assalta Catania, uccide Ibn al-Maklatî, si impossessa del suo stato e della moglie Maymûna, sorella del tirannello di Enna Ibn al-Hawwâs. La Repubblica di Palermo lo riconosce e gli fornisce la flotta.

A questo punto, un fatto tutto sommato di vita privata nella corte catanese avrebbe aperto una nuova stagione per la nostra storia: una sera, in preda all’ubriachezza, Ibn Thumna ordina di tagliare le vene alla moglie. Il figlio, inorridito, riesce a salvarla tamponandole le ferite. L’indomani il marito si scusa per l’intemperanza e Maymûna fa finta di perdonarlo. Dopo qualche mese chiede di andare a trovare il fratello a Castrogiovanni, al quale racconta l’episodio. Ibn al-Hawwâs le impedisce quindi di tornare in un posto così pericoloso e attacca il cognato, in senso strettamente militare. Palermo questa volta si schiera contro Ibn Thumna, e le truppe alleate entrano a Catania. Il tiranno si rifugia a Siracusa. Ha disperato bisogno di aiuto, e qui si ricorda che dall’altra parte dello Stretto non sventolano più le insegne dell’Impero Romano d’Oriente, ma ormai quelle dei Normanni. Si imbarca così per Mileto, chiede aiuto al Conte Ruggero Altavilla, fratello e vassallo di Roberto il Guiscardo, Duca di Puglia e Calabria. E qui per i Saraceni di Sicilia è l’inizio della fine, ma per la Sicilia l’inizio di una vera nuova era.

Cronologia politica:

827-909 Dinastia Aghlabita:

Primo assalto (capitani):

827 Asad ibn Furât
827-829 Muhammad ibn Jawâri
829-831 Zuhair ibn Ghaut

Conquista del Val di Mazara (emiri):

831-832 ‘Authman ibn Kuhrib (capitano)
832-835 Abû Fihr Muhammad ibn ‘Abd Allah ibn Aghlab (primo emiro nominato, poi ucciso)
835-851 Abû ‘l-Aghlab Ibrahîm ibn ‘Abd Allah ibn Aghlab (nominato)

Conquista del Val di Noto (emiri):

851-861 Abû ‘l-Aghlab Abbâs ibn Fadhl ibn Yakûb (eletto)

861-862 Ahmad ibn Yakûb (zio del precedente, eletto, poi deposto)
862-869 Khafaja ibn Sufian ibn Sawada (nominato)
869-871 Muhammad ibn Khafaja ibn Sufian (figlio del precedente, eletto, poi ucciso)
871 Rabâh ibn Yakûb ibn Fazâra (nominato e morto poco dopo)
871-872 Abû Abbâs ibn Yakûb ibn ‘Abd Allah (eletto, e morto poco dopo)
872 Ahmad ibn Yakûb ibn ‘Abd Allah (fratello del precedente, eletto e morto poco dopo)
872-873 Husain ibn Rabâh (nominato e poi rimosso)
873-877 Abû Malik Ahmad ibn Yakûb ibn ‘Aumar detto l’Abissino (eletto)
877-878 Ja’far ibn Muhammad (nominato)

Conquista del Val Demone (emiri):

878-880 Husain ibn Rabâh (eletto, di nuovo, poi ucciso)

880-881 Hasan ibn Abbâs (eletto e poi deposto)
881-883 Muhammad ibn Fadhl (eletto e poi deposto)

883-885 Husain ibn Ahmad (eletto)
885-892 Sawâda ibn Muhammad ibn Khafaja (nominato, padre e nonno erano stati emiri)
892-894 Muhammad ibn Fadhl (eletto, di nuovo)
894 Hasan ibn Nakid (nominato, governatore dell’Emiro Ibrahîm di Kairuan, ma non governa effettivamente fuori da Mazara)

894-898 Ribellione dei Siqilli

898-899 Abû Malik Ahmad ibn ‘Aumar ibn ‘Abd Allah (governatore di Ibrahîm)

899-900 Rakamuweih (emiro dissidente)

900-902 Abû Abbâs ‘Abd Allah (figlio dell’emiro di Kairuan, governo diretto)

902-903 Ziyâdat Allah (figlio di ‘Abd Allah, sara dopo il II emiro di Kairuan con questo nome)

903 Muhammad ibn Siracusî (nominato)
903-904 ‘Ali ibn Muhammad ibn Abi Fawares (eletto)
904-909 Ahmad ibn Abi Husain ibn Rabâh (nominato, poi deposto)

912-913 Ali ibn ‘Aumar Ballawi (nominato)

913-916 Ahmad ibn Ziyadat Allah ibn Qurhub (emiro separatista)

916-917 Abû Said Musa ibn Ahmad detto l’Ospite (generale occupante)

917-937 Salim ibn Asad ibn Rashid (nominato)
937-940 Abû Abbâs Khalil ibn Ishak Ibn Werd (nominato)

940-948 Governo diretto da Mahdìa

1048-1052 Emiri (Re) Kalbiti:

948-965 Hasan I

965-970 Ahmad I

970-982 Abu ‘l-Qasîm

982-983 Giaber (Jâbir)

983-985 Giafar (Ja‘far) I

985-989 ‘Abd Allah

989-997 Yusuf

997-1019 Giafar (Ja‘far) II

1019-1037 Ahmad II al-Akhal

1037-1040 ‘Abd Allah ibn Mu‘izz (occupazione zirita)

1040-1052 Hasan II al-Samsan

1052-1072 Repubblica islamica

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